Frena l’economia Ue ma la Bce non esclude altri aumenti dei tassi

Frena l’economia Ue ma la Bce non esclude altri aumenti dei tassi

da Roma

Rallenta la crescita della moneta nell’area euro, e frenano i prestiti, confermando il rallentamento economico di Eurolandia. Tuttavia, da Francoforte - sede della Banca centrale europea - arrivano segnali inequivocabili: la Bce non esclude un nuovo rialzo dei tassi d’interesse, qualora l’andamento dell’inflazione lo rendesse necessario. È il governatore austriaco Klaus Liebscher a spiegare chiaramente che «il margine di manovra della banca centrale non si è esaurito», e dunque nuovi rialzi dei tassi sono possibili.
La Bce ha deciso un aumento dei tassi dello 0,25% il 3 luglio scorso, allo scopo di frenare le aspettative di inflazione nell’area dell’euro. Ma se, al momento, questa era stata interpretata dai mercati come una misura una tantum, adesso sono in molti a pensare che il Consiglio della banca centrale possa agire di nuovo alla fine dell’estate o all’inizio dell’autunno, a meno che il ribasso dei prezzi del greggio - ieri i future sul greggio sono scesi sotto i 123 dollari al barile a New York - non diventi stabile.
La Bce resta fortemente concentrata sulla lotta all’inflazione, nonostante il rallentamento economico in atto nell’eurozona, e dunque non esclude nuovi rialzi dei tassi. Inoltre, l’impennata dei prezzi in atto negli Stati Uniti, dove il tasso d’inflazione ha ormai raggiunto il 5%, sta convincendo i banchieri centrali europei che la politica monetaria accomodante seguita dalla Federal reserve non deve essere replicata in Europa.
La Bce non sottovaluta il rallentamento dell’economia. «Ci aspettavamo un secondo trimestre debole - spiega Liebscher, in una intervista alla Bloomberg - e forse anche il terzo sarà così». Il rallentamento è confermato anche dalla crescita annua di «M3» (+9,5% contro il 10% precedente) e dalla dinamica dei prestiti al settore privato (+9,8% contro il precedente 10,5%). La dinamica del principale aggregato monetario e dei prestiti, entrambi inferiori alle stime, rappresentano un ulteriore segnale di economia in frenata, ma non tale da spostare l’attenzione prevalente dei banchieri centrali sull’inflazione. Secondo fonti di Francoforte interpellate dal Giornale, il prossimo orientamento del Consiglio della Bce dipenderà dai dati di settembre. Dunque, non ci si aspetta alcun movimento in agosto; ma le stime sull’andamento dell’economia e dei prezzi che saranno rilasciate in settembre saranno decisive per indirizzare le decisioni della Banca centrale europea.
Neppure il quadro internazionale offre grandi motivi di ottimismo. Oltre al 5% di inflazione negli Stati Uniti, i prezzi sono aumentati a un ritmo dell’1,9% in Giappone (il massimo degli ultimi quindici anni), e del 4% nell’Eurozona. Secondo fonti del G7 interpellate dalla Reuters, gli europei si augurano che la banca centrale americana rialzi i tassi per contrastare sia l’inflazione che il ribasso del dollaro, ma nutrono scarse speranze che la Fed si muova in tale direzione. Eguale scetticismo anche nei confronti della Cina. L’unico segnale positivo viene dai mercati del petrolio: ieri a New York, i prezzi dei future sono scesi a 122,73 dollari al barile, il minimo degli ultimi due mesi.
I Paesi Opec, in luglio, stanno aumentando la produzione di circa 200mila barili al giorno, e la domanda sta calando.

Quella americana, per esempio, è giunta a 19,9 milioni di barile al giorno, la più bassa dal gennaio 2007. I consumi di benzina negli Usa sono scesi del 3,3% rispetto a un anno fa. da qui la discesa dei prezzi rispetto al picco di 140 dollari toccato nelle scorse settimane.

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