Fini non si dimette, appende il suo futuro di presidente della Camera al filo della «certezza» che suo cognato sia, o sia stato, vista la facilità e velocità con cui le società offshore passano di mano, il proprietario della famosa casa di Montecarlo. Non basta che lui stesso abbia «sospetti», non serve che il ministro della Giustizia di Santa Lucia lo abbia certificato. No, a lui l’evidenza dei fatti non interessa, vuole la prova che sa non poter probabilmente esistere trattandosi di società sostanzialmente segreta. Insomma, una furbata che consegna il destino della legislatura nelle mani e nelle parole di un ragazzotto spregiudicato, il cognato Giancarlo Tulliani, che scorrazza in Ferrari per le vie del Principato. Con la mano destra il presidente lo scarica, con la sinistra se ne fa scudo, nel tentativo di salvare la poltrona, il nascente Fli e forse anche la famiglia.
Politicamente, il discorso di ieri sera non cambia le pedine sullo scacchiere. Il buon senso, infatti, dice che Fini dovrebbe lasciare la carica che ricopre indipendentemente dalla soluzione del giallo Montecarlo, in quanto leader di uno schieramento politico ostile alla maggioranza che non esisteva al momento della sua elezione. Ma di questo non ne fa neppure cenno, anzi, rilancia con forza e rabbia la sfida a Berlusconi sul piano personale («io non ho avvisi di garanzia», «io non ho società offshore») senza neppure avere il coraggio di citarlo direttamente. E ci aggiunge pure un ultimatum che sa (...)
(...) di ricatto quando dice: fermiamoci tutti prima che sia troppo tardi. Tutti chi? E tardi per che cosa?
È evidente che Fini vorrebbe vedere Berlusconi morto, almeno politicamente parlando. Ma non ha il coraggio di sfidarlo nell’unica arena che la politica dovrebbe darsi. Che è quella delle elezioni. Infatti allude a complotti che sarebbero organizzati dal premier in persona, ma invece che dire «adesso basta» e rompere rilancia la palla: io sto nel centrodestra, se vuoi far saltare il banco - dice in sostanza - prenditi tu, Berlusconi, la responsabilità, sapendo che il killer della legislatura pagherà qualche pegno alle urne.
Nel videomessaggio non c’è una parola di politica, un segnale che qualche cosa potrebbe cambiare nell’atteggiamento ostile nei confronti del Pdl. E in questo senso è elemento di chiarezza. Semmai qualcuno sperasse ancora in una possibilità di tregua, deve ricredersi. Il prezzo che Fini pone, e che traspare anche dalle parole di ieri, è inaccettabile e così sintetizzabile: caro Pdl, dammi un po’ di tempo per capire meglio che tipo è mio cognato, nel frattempo fammi restare ancora un po’ presidente della Camera e finto alleato in modo da poterti fare più male e, se ci riesco, pure distruggerti. Se poi scopriremo che la casa è proprio del Tulliani, farò un altro videomessaggio per dire che oltre che ingenuo sono anche stato fesso.
A questo punto Berlusconi deve valutare solo se in Parlamento c’è una maggioranza autonoma dai finiani, non in contrasto con le indicazioni uscite dalle urne, e poi decidere. Se c’è, si proverà ad andare avanti, altrimenti la via del voto anticipato sarà inevitabile.
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