FURBIZIE DI POTERE

Il governo vuole riformare la legge 30 (quella del professor Biagi) o no? La vuole buttare via come promisero molti del centrosinistra in campagna elettorale o la vuole riformare? Non si sa o, meglio, dipende. Se membri del governo si trovano a parlare in contesti internazionali dove si devono formulare giudizi sul loro operato, allora la difesa della flessibilità del lavoro è d'obbligo, e la paura di essere considerati dei trogloditi li trattiene dal dire ciò che viene loro richiesto da una parte considerevole della maggioranza che li sostiene: buttare nel cestino la legge 30. Se, viceversa, scendono in piazza sottosegretari e militanti a protestare contro se stessi allora succede che il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, il giorno dopo, cioè ieri, dica al Corriere della Sera che la riforma della legge 30 sia una priorità. Nel primo caso si tratta di furbizia - diciamo così. Nel secondo caso di restare seduti sullo scranno, di salvare la pelle.
Del resto questa espressione non è esagerata. Basti pensare che venerdì scorso, a Venezia, il ministro Damiano era stato contestato violentemente da una parte dei no global, i cosiddetti Disobbedienti capitanati da Luca Casarini, ex socio di Francesco Caruso che siede in Parlamento eletto nel partito del presidente della Camera. Che casino: loro la chiamano coalizione, alleanza e, quando sono in vena di esagerare, perfino governo.
Cesare Damiano ha detto che «bisogna distinguere tra buona flessibilità e precariato» e ha spiegato così: «La buona flessibilità è poter ricorrere al lavoro per far fronte alle esigenze della produzione». Significa cioè - diciamo noi - che un'impresa può far lavorare le persone per il periodo di tempo necessario a produrre quello che devono vendere. «La precarietà - ha continuato il ministro - è invece l'uso di lavoro pseudo subordinato al posto di quello regolato da norme precise di subordinazione». Traduciamo: significa che gli imprenditori non devono usare forme flessibili per nascondere rapporti di lavoro a tempo pieno. Cioè non devono operare nell'illegalità. E come si fa a non essere d'accordo? Bene, bravo. Ma questo fenomeno si combatte combattendo l'illegalità non diminuendo la flessibilità perché il risultato, fatto questo, sarà esattamente il contrario.
Vale lo stesso ragionamento per le tasse. Il collega di Damiano, Vincenzo Visco, pensa che per combattere l'evasione si debbano aumentare le tasse e instaurare controlli polizieschi. Sia per il lavoro che per le tasse occorre rendere conveniente operare nella legalità. Capiamo che questo ragionamento possa destare ribrezzo in uomini guidati da valori e non da interessi come noi. Solo che la nostra ricetta ha funzionato molte volte in molti Paesi. La loro non ha mai funzionato da nessuna parte salvo che nel loro cervello.
Altra questione, e questa è la vera questione, è la riforma dei cosiddetti ammortizzatori sociali che, come sono, hanno le molle arrugginite e non funzionano più. Certo, quando si introduce maggiore flessibilità nel mercato del lavoro bisogna anche creare degli strumenti per aiutare coloro che, involontariamente, perdono il lavoro e si trovano nella povertà magari con moglie e figli a carico. Per questo occorre spostare dei soldi dalle pensioni date in età scandalosamente giovane a queste forme di aiuto sociale. Ma su questo Cesare Damiano non deve convincere noi.

Deve convincere un pezzo consistente del suo partito (i Ds), i Verdi, Rifondazione, i Comunisti italiani, i Disobbedienti, un po' di no global e poi i sindacati, cioè la Cgil che conosce bene avendoci militato per un bel po' di anni.
Noi siamo d'accordo ma non l'abbiamo votato. Loro no e l'hanno votato. Bel problema.

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