RomaUn’acrobazia del genere forse uno se la sarebbe potuta aspettare dai «Camaleonti», se non per la loro gloriosa storia musicale almeno per le caratteristiche della specie animale da cui il gruppo prende il nome. Eppure a cantare a Napoli in piazza Dante, e a prendersi gli «Applausi» cari al gruppo beat-pop degli anni ’60 e ’70, c’era proprio lui, Roberto Vecchioni.
«Ho annullato tutti gli impegni per essere qua. Grazie a De Magistris perché ha impersonato la vera Napoli come deve essere e come sarà», dice alla folla l’autore di Luci a San Siro. Eh sì, perché per una sorta di par condicio del trattamento canoro, Vecchioni dopo aver cantato a Milano per l’ultragarantista Pisapia, domenica sera è sceso nella città partenopea per omaggiare e sostenere un ex pm che, per dirla con Giuliano Ferrara, «non è esattamente un eroe anonimo della giustizia giusta, ma un magistrato che ha fatto della politica il suo core business».
«È una piazza, meravigliosa, è una piazza che vuole essere accanto a Luigi» continua il vincitore di Sanremo che cita Pericle e il suo «Discorso agli ateniesi». E conclude la lettura con una battuta: «Tutto questo Berlusconi non lo sa» (figuriamoci allora i berlusconiani che, come ci insegna lady Vecchioni, la scrittrice Daria Colombo, sono un popolo «antropologicamente diverso» da quello delle persone capaci di giudicare il bene e il male). E poi sotto con «Bella Ciao», intonata assieme alle migliaia di persone presenti.
Verrebbe da pensare a un verso di Samarcanda, «era solamente uno sguardo stupito, cosa ci facevi l’altro ieri là?». Oppure a una canzone di un’altra icona della sinistra radical-chic, spesso incline ai toni resistenziali, Fiorella Mannoia, con la sua Come si cambia. Ma più semplicemente viene in mente lui, Roberto Vecchioni, quando in uno dei suoi brani più noti raccontava come, nell’Italia di trent’anni fa, si potesse finire al fresco per una casualità o, più semplicemente, a causa delle ferie d’agosto del giudice per la convalida.
Altri tempi. Il destino evidentemente è mutevole e il ricordo di quel «Signor Giudice», quel magistrato «così, così» deve essersi sbiadito nel tempo. Era il 1979 e Vecchioni dava alle stampe un brano destinato a diventare una sorta di manifesto garantista, una fotografia in musica - bagnata nel sarcasmo - di una disavventura carceraria vissuta sulla propria pelle. Sì, perché quel «Signor giudice» - «lei venga quando vuole più ci farà aspettare, più sarà bello uscire. Signor giudice si compri il costumino, si mangi l’arancino col suo pomodorino» - esisteva davvero ed era il magistrato che il 17 agosto di quell’anno lo aveva fatto arrestare e poi tradurre al Castello, il carcere di Marsala, con l’accusa di spaccio perché un ragazzo aveva sostenuto che due anni prima, durante un concerto alla festa de l’Unità della città siciliana, il cantante gli aveva passato uno spinello. Una versione che lo stesso accusatore ritrattò quando le verifiche si fecero più stringenti. Ma tanto bastò per disporre alcuni giorni di custodia cautelare per il cantante.
Quell’esperienza lo segnò e lo portò per anni a inseguire giustizia. Ma, si sa, per dirla con Vasco, «i giorni passano, i ricordi sbiadiscono, le abitudini cambiano» e così ci si ritrova all’ombra di un altro castello, il Maschio Angioino, a sostenere la candidatura di un pm d’assalto. Un miracolo napoletano, uno «scurdammoce ’o passato» che oggi gli vale una iscrizione di diritto nel girone dei duri e puri alla Flores d’Arcais, al centro esatto di quella anomalia italiana in base alla quale uno che contesta il governo vede nell’autorità giudiziaria un compagno di lotta.
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