Pier Augusto Stagi
È un momento così: difficile. Per il ciclismo italiano cè poco da sorridere, e non ci resta altro da fare che mulinare i pugni in aria, in gesto di rabbia, come è accaduto ieri a Stefano Garzelli, leader della Liquigas, che per un niente si è visto sfuggire via la Clasica di San Sebastian, prova di un Pro Tour mesto e agonizzante, che attende di essere ritoccato come un bel giocattolo nuovo ma nato difettoso. È un momento così: ci dice male. La pattuglia italiana arriva nei Paesi Baschi con una nutrita schiera di campioni e con le più buone intenzioni, ma non riesce ad andare oltre ad un onorevole piazzamento. Si danno da fare i nostri, in particolare gli uomini Liquigas di Garzelli, Di Luca e Pellizotti, e i Lampre di Cunego. Ma nella volata finale, strana, stranissima, vince il più strano in assoluto: Xavier Florencio, onesto pedalatore spagnolo, classe 79, che di classe ne ha pochina ma quel tanto basta per anticipare le ambizioni di tutti e soprattutto quella di Garzelli, primo dei battuti.
Abile, abilissimo, lo spagnolo nellanticipare Garzelli, Kashechkin e soprattutto Alejandro Valverde (ottavo), il gran favorito nominato più volte nel dossier della Guardia Civil dellOperacion Puerto, ma che corre come se nulla fosse successo, nonostante sia segnato, decrittato il suo nome negli appunti del medico delle Canarie Eufemiano Fuentes. «Storie che in un ciclismo credibile e giusto non dovrebbero succedere dice Alcide Cerato, presidente del professionismo italiano, che con il presidente federale Renato Di Rocco sta lavorando per riportare ordine nel ciclismo -. Le regole ci sono, basta applicarle. A Strasburgo lUci si è resa latitante, e le squadre sono state lasciate sole al loro destino».
Il 2 settembre, a Milano, la federazione italiana riunirà le maggiori federazioni del ciclismo mondiale per decidere cosa fare e che passi fare. «Noi vogliamo riportare il ciclismo nellalveo dellUci, del governo mondiale, ma vogliamo anche che le federazioni nazionali tornino ad avere un ruolo, una voce».
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