Gas: Algeri caccia Repsol e Gn Il Kazakhstan preme sull’Eni

da Milano

Anche l’Algeria si muove per mettere le mani sui giacimenti di olio e gas gestiti da compagnie straniere sul proprio territorio. Ieri le spagnole Repsol e Gas Natural hanno annunciato di aver perso un progetto da 5,2 miliardi di euro per lo sfruttamento e la produzione di gas nel Maghreb. L’accusa è di ritardi nell’esecuzione dei contratti. I due gruppi hanno detto che si opporranno attraverso una Corte internazionale. Quello dell’Algeria è solo l’ultimo caso degli ultimi mesi in cui un Paese produttore espelle i grandi gruppi: è stata preceduta infatti dal Venezuela (che ha praticamente nazionalizzato tutte le attività del settore), dalla Russia che ha sottratto i giacimenti di Sakhalin 2 alla Shell, accusandola di inquinamento, e dal Kazakhstan che ha accusato il consorzio guidato dall’Eni di ritardi e di inquinamento.
E ieri il Kazakhstan ha continuato la sua pressione mediatica per alzare il prezzo del petrolio dei suoi giacimenti nel Caspio. Il governo di Astana punta a ottenere un risarcimento «superiore ai dieci miliardi di dollari» dal consorzio di compagnie petrolifere guidato dall’Eni per i ritardi nello sviluppo del giacimento gigante di Kashagan, ha detto all’agenzia Reuters il viceministro delle Finanze, Daulet Yergozhin. Le trattative, comunque, vanno avanti e non è prevista una conclusione a breve termine: i sessanta giorni che Astana e il consorzio si sono dati per trovare una soluzione positiva cadono verso la metà di ottobre. I colloqui sono «aperti e costruttivi» e «confidiamo che tutte le questioni possano essere risolte nell’ambito degli accordi esistenti» ha detto il responsabile del settore esplorazione e produzione dell’Eni, Stefano Cao.
Al di là di questo all’Eni mantengono la massima prudenza e rifiutano ogni altro commento, ma fonti del settore sostengono che esistono trattative a vari livelli tra il consorzio e il Kazakhstan. È quindi prevedibile che per il momento l’ad Eni, Paolo Scaroni, scelga di non scendere in campo personalmente, cosa che farebbe invece se si trovasse una soluzione. Diversamente da Russia, Algeria e Venezuela, infatti, il Kazakhstan ha bisogno della tecnologia occidentale: il giacimento e il petrolio del Caspio sono tra i più «difficili» al mondo per le condizioni del suolo e del clima e per la composizione chimica dell’olio. Astana vuole migliorare comunque le condizioni dell’accordo e le trattative vanno in quella direzione: neppure le compagnie hanno interesse a tirar troppo la corda. E in ogni caso il blocco delle attività a Kashagan danneggia tutti: compagnie e Kazakhstan.
Quale sarà però la soluzione è presto per dirlo: un «risarcimento» come chiesto dal governo locale per i ritardi nell’avvio dell’estrazione (oggi il greggio è a 70 dollari, ma non è detto che rimanga a questi livelli in eterno), oppure una quota maggiore degli utili in futuro, o ancora qualche marchingegno che riguardi la produzione.

Di fatto Astana ha bisogno subito dei soldi: perché deve mantenere le promesse fatte per le elezioni, perché deve finanziare i suoi piani di sviluppo e, alla fin fine, perché i quattrini fanno sempre comodo. Un «pacchetto» di dollari subito e un miglioramento degli accordi per dopo non è così del tutto da escludere. Come questo verrà concretizzato è oggetto delle discussioni. Che non saranno brevi.

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