È solo un opuscoletto dal titolo importante: «la Speranza». L'ho ricevuto in dono dal Presidente della Gaslini Band - onlus che opera presso l'Istituto Giannina Gaslini di Genova - e l'ho letto con gioia. La sua semplicità d'esposizione anziché rappresentarne un limite mette luce, grazie alla genuina spontaneità dell'autrice, preziose osservazioni soprattutto per chi opera a contatto della sofferenza.
L'autrice - Barbara D'Ercole di Isernia - racconta la sua malattia, le sue degenze all'Istituto Giannina Gaslini, evidenziando inoltre i grossi problemi delle famiglie dei piccoli lontane dalle loro città (alloggio, soldi, solitudine...). In particolare però quelle quindici paginette, dalla graziosa copertina a fiori rosa, riescono ad esprimere ciò che risulta tanto importante per chi è provato dalla sofferenza.
Nel racconto si riscontrano frasi del tipo: «... ti accolgono sempre con un sorriso», o, parlando di un sanitario, «...con tutti ha una parola di speranza...», o di quel reparto in cui «... c'era armonia tra i pazienti e lo staff medico e infermieristico». Oppure quando narra di quella dottoressa che «... si è subito interessata a me...» ed era «sempre ben disposta verso gli altri».
Sono raccolti inoltre - quasi foto d'album di famiglia - affettuosi ricordi: quel medico «alto e robusto» che «faceva paura, ma con i bambini era dolcissimo» o di quell'altro «... con lo sguardo buono...» o di quell'altro ancora che «... fece sedere mia madre e le offrì il caffè».
La sensibilità di Barbara, nel suo lettino di corsia, non trascura di fissare particolari e sfumature del modo d'essere di chi l'accudisce, come quelle infermiere che «... hanno sempre un sorriso e, quando stai male, ti coccolano e ti infondono coraggio» o di quelle due ausiliarie: una «simpatica» e l'altra che: «... ma poi, quando le parli, è dolcissima». Perle di grande umanità che sono l'unica vera soluzione al dibattuto problema della «qualità della vita»: essa dipende dall'amore che sappiamo donare a chi è nella sofferenza. Si nota pure come la professionalità unita alla sensibilità verso l'altro che soffre può dare risultati insperati e nel contempo l'uomo realizza se stesso anche attraverso il proprio lavoro. Semplici aspetti di umanità che risultano essenziali tanto quanto quelli scientifici, tecnici, amministrativi e altri, oggi forse anche troppo enfatizzati a scapito dei primi.
Con tanta semplicità Barbara ci comunica ancora che, pur nella malattia, lei - e la sua amica Giusy -, «...avevamo la stessa gioia di vivere» ed ancora «... ho girato molti ospedali, sin da piccola sono la mia seconda casa; ho sofferto molto, ma ho anche gioito, perché ho trovato tanti amici, ho conosciuto tante persone brave e buone».
In tutte le vivide immagini della sua storia la malattia s'intreccia con persone e fatti diversi. Con serena accettazione, Barbara osserva che nella vita: «Una volta sorridi e un'altra piangi». La Speranza - pare spiegarci -, può essere possibile anche nel mondo del dolore.
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