La SpeziaCirca quattro mesi fa sono partiti in sordina, ma con idee chiare sulle cose da fare. Pensando in grande. Perché quando si parla di Baglietto vale solo la legge del blasone. Non cambia la filosofia dimpresa di Beniamino Gavio, oggi al timone dello storico cantiere spezzino. Via libera, quindi, alla rivoluzione. A cominciare dallhabitat naturale del «Gabbiano», vale a dire lo stabilimento. Da rifare, per rispondere alle esigenze logistiche e tecnologiche di un moderno ed efficiente cantiere nautico. Ne parliamo con Diego Michele Deprati, ad di Baglietto, ufficiale della Marina Italiana fino al 1987 - «Prima di tutto sono un militare», dice con orgoglio - Poi varie esperienze nella nautica prima di approdare, nel ruolo di ad, a Mondo Marine Spa.
Comandante, lennesima sfida?
«La più difficile e la più affascinante. A cominciare dalle infrastrutture, che sono fondamentali. Lintervento sarà dimpatto, probabilmente creerà qualche problema logistico. Per i prossimi due anni avremo un cantiere che opererà a regime limitato a causa dellentità dei lavori per i bacini a secco e la nuova struttura dei capannoni. Primo obiettivo: presentarci a Montecarlo in settembre con le tre barche ereditate dalla vecchia gestione e con i nuovi progetti».
Investimento-rischio in un settore ancora in piena crisi.
«Coraggioso. Onore a Gavio (testa in Impregilo e cuore in cantiere, ndr) che con estrema audacia ha iniziato in tempi non facili questa avventura mettendo sul piatto 18,5 milioni per il solo marchio. Il nuovo stabilimento costerà altri 18 milioni, spalmati in due anni e mezzo. E visto che il cantiere confina con aeree militari, e alla luce di eventuali dismissioni di cui si parla, non escludo per il futuro una ulteriore nostra espansione».
Che tipo di rivoluzione sarà?
«Nelle prime fasi bisogna andare cauti. Posso dire che in questi tre mesi ho recepito subito la visibilità internazionale di Baglietto. Sono convinto che unoperazione di rivalorizzazione del marchio fatta in modo sobrio, essenziale, molto semplice, ci offrirà opportunità enormi. Solo leggendo e-mail e lettere manoscritte che ci arrivano da tutto il mondo si può capire la vera potenzialità di questo cantiere. Lacquisizione di un tale marche ci inorgoglisce, ma ci carica di responsabilità. Facendo le cose semplici che vanno fatte in unindustria, possiamo centrare traguardi importanti. Non vogliamo strafare, non stravolgeremo niente perché gli armatori ci chiedono di mantenere lo stile Baglietto. Ovviamente rivisiteremo la tecnologia senza snaturare lo stile che ha fatto la storia della nautica».
Intanto il designer cè....
«La nuova linea Baglietto si chiama continuità. Abbiamo appena raggiunto laccordo con Francesco Paszkowski. Si occuperà delle linee interne ed esterne degli yacht plananti e dislocanti. Laccordo è esteso anche alle tre unità che il cantiere ha rilevato dalla vecchia proprietà (un 44 metri planante, un 46 metri e un 53 metri dislocanti di cui Paszkowski ha curato le linee esterne). Quindi i tre nuovi progetti: una linea di 58 metri dislocante in acciaio e alluminio, una di 37 metri planante in alluminio e un 46 metri planante. Le nuove barche non romperanno con il passato, ma saranno la naturale evoluzione. Siamo felici di questo accordo che rappresenta al tempo stesso continuità e futuro del Gabbiano. E Francesco Paskowski identifica al meglio la filosofia del cantiere. Vogliamo che i nostri armatori si sentano sempre a casa, come tradizione» .
Cosa non da poco: Baglietto è ancora un marchio italiano...
«Diciamo che il dottor Gavio ha fatto tutto il possibile per contrastare lo shopping straniero. Questa è una di quelle operazioni folli e allo stesso tempo lungimiranti. Credo che il presidente sia stato mosso esclusivamente dalla passione. È entrato nel mondo della nautica il giorno in cui ha deciso di acquistare una barca firmata Cerri finendo poi, alla fine dello scorso settembre, per acquisire la maggioranza del cantiere di Marina di Carrara confermando così lintenzione di cimentarsi nel comparto della nautica di lusso. Da quel momento ha cominciato a recepire alcuni messaggi. La nautica gli deve gratitudine».
Quindi debutto a fine settembre a Montecarlo e poi Genova.
«Sarà il saluto di un marchio italiano al salone internazionale. Nonostante i problemi ben noti, Genova è il riferimento per eccellenza. È vero, purtroppo ci sono situazioni che muoiono, ma fortunatamente anche situazioni che nascono. Dobbiamo dare segnali positivi soprattutto nei momenti di difficoltà generale».
A proposito delle tre barche «ereditate»...
«Due settimane fa abbiamo perfezionato il primo contratto di vendita di una di queste barche. Per noi è un punto di partenza importante. Pur trattandosi di barche già viste - il 44 metri di Varazze è limbarcazione numero 3 della serie - abbiamo comunque lopportunità di far apprezzare allutenza il salto di qualità che vogliamo per Baglietto. Tutto questo va al di là delle aspettative. Questa commessa arriva a tre mesi o poco più dal nostro insediamento. Credo che le altre due unità saranno vendute entro qualche mese».
Intanto si chiude anche il capitolo Varazze con laccordo di massima tra il liquidatore e il gruppo Azimut-Benetti.
«Significa che lex Baglietto non chiuderà e che i 29 dipendenti continueranno a lavorare. È una bella notizia. Il gruppo di Paolo Vitelli è solido e affidabile. Anzi, noi gli chiederemo un piccolo spazio, circa 300 metri quadrati, per adibirlo a museo e archivio storico del glorioso cantiere. È un tributo alla città che ha visto nascere Baglietto nel lontano 1841 nel capanno di un orto ad opera di u Muntagnin, al secolo Pietro Baglietto. Ho visitato un paio di volte questo archivio straordinario: documenti fotografici, schizzi, progetti e modellini da far venire i brividi. Purtroppo non è mai stato valorizzato. Non è solo un tributo a Baglietto e alla città, ma a tutta la tradizione della marineria italiana. Il nostro presidente ci tiene molto».
Vale la pena ricordare, per la cronaca, che durante la Grande Guerra i cantieri Baglietto furono impegnati con le commesse della Regia Marina: dagli idrovolanti ai mitici «Mas» usati anche nel corso del secondo conflitto mondiale.
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