Il genio assoluto della musica incapace di allacciarsi le scarpe

Il 27 gennaio 1756 nasceva a Salisburgo il grande compositore. Bambino prodigio, uomo dalle profonde contraddizioni, conoscitore dell’animo umano ma nel contempo disastroso nelle relazioni personali

Alberto Cantù

Studi scientifici recenti hanno dimostrato che il genio non è a tutto campo ma settoriale. Si può essere dei Pitagora in matematica e degli asinelli quanto a grammatica e sintassi. Si può essere geni musicali, precoci e assoluti, come Mozart, e avere le difficoltà di Amadé (mai il musicista si firmò Amadeus) ad esempio nell’allacciarsi le stringhe o nel tagliare una fettina di carne: cose che non riuscì mai a fare da solo.
Mozart, appunto. Misterioso e inspiegabile come peraltro è sempre il genio: e anche l’uomo resta un bel mistero. La persona incapace di distinguere tra chi lo adulava per interesse e i veri ammiratori (Haydn nel 1785 al padre di Mozart: «Vostro figlio è il più grande compositore che io conosca»). Il profondo conoscitore dell’animo umano quale rivelano i lavori teatrali, dove la psicologia dei personaggi è ricca, sfumatissima, straordinariamente «umana» e al tempo stesso la persona incapace di stabilire relazioni umane e professionali proficue (arrogante, infantile, mordace, imprudente: un disastro).
Ancora. L’artista abilissimo nell’amministrare la propria creatività - scriveva solo su commissione o se aveva una buona certezza che ci fossero possibilità di esecuzioni - ma allegro nel dissipare le sostanze. Meglio. Nello spendere in perfetta incoscienza. Perché la storiella romantica di un Mozart povero se non «ramingo e solo» è appunto una storiella. Mozart ebbe anni bui (ad esempio il 1789-90 quando i viennesi gli avevano voltato le spalle) ma spesso guadagnò bene o ottimamente - allora affittava un appartamento di lusso - e vestì sempre in modo ricercato, come desiderava il padre Leopold. Soltanto, se entrava 100 lui sperperava 200, visto che nessuno gli aveva mai insegnato ad amministrare le finanze: e la moglie Constanze aveva le mani più bucate di lui.
Mozart che ha un enorme «bisogno d’amore» di cui è prova la sua musica. Affamato d’amore come quando, bambino, chiede dieci volte al giorno a un trombettista di Salisburgo se lui gli vuole bene. E quando questi, stanco di ribadirlo, per scherzo, gli dice di no, vede scendere grandi lacrime dagli occhi del piccolo. Mozart «innamorato dell’amore». Ad esempio quello a 360 gradi di Cherubino, l’adolescente che scopre l’altra metà del mondo (Cherubino è lui). Mozart che vive e «teatralizza» l’eros irrefrenabile e mai soddisfatto di Don Giovanni, l’amore cavalleresco di Don Ottavio, l’attrazione ambigua (Così fan tutte) per cui due sorelle possono innamorarsi, per davvero, dei fidanzati l’una dell’altra.
Che fa sua anche la malinconia di un sentimento non più corrisposto come negli anni ardenti della giovinezza (nelle Nozze di Figaro, Rosina, Contessa ormai matura, trascurata dal consorte che aveva fatto fuoco e fiamme per sposarla). Che ci partecipa una sessualità ora sublimata (la Contessa) ora contadinesca e furbetta (Zerlina), ora fatta di amore «nobile» ed eroico (Tamino e Pamina) ora di un eros ruspante e «di natura» come in Papageno «l’uccellatore» (Mozart è un po’ Cherubino - lo dicevamo - ma anche un po’ Papageno).
Mozart piuttosto brutto, con una voce fievole, sempre agitato eppure maestro delle passioni. Una persona, dirà la moglie, che «non si poteva fare a meno di amare». Mozart - altra contraddizione - il cui unico, grande, irriducibile amore della sua vita (non è agiografia), quello per la cantante Aloyse Weber, venne sfruttato anziché corrisposto e fu un fallimento; quando lei sposò un partito migliore, a Volfango non restò che un ripiego: un’altra Weber, la sorella Costanza.
Mozart - dunque - a 250 anni dalla nascita nella detestata, provinciale Salisburgo, il 27 gennaio 1756 al numero 9 della Getreidegasse, l’attuale «via dello struscio», in una casa oggi museo: turistico museo dove della famiglia Mozart c’è poco o nulla. E se nel nome sta il destino dell’uomo, la creatura, non allattata al seno e sopravvissuta a quella «dieta d’acqua» (decotti d’orzo e farina di avena) allora in voga, venne battezzato con i nomi Johannes Chrysostomus Wolfgang Theophilus.
Wolfgang, come ricorda Piero Melograni nel suo eccellente Wam, la vita e il tempo di Mozart per Laterza, significa «colui che ha il passo del lupo» - è ardito, scattante, vorace - mentre Theophilus (o Gottlieb o Amadé) vuole dire «amico di Dio». Appunto i 35 - quasi 36: muore il 5 dicembre 1791 - anni soltanto di vita ma da creatura che brucia le tappe con la prontezza di un lupo e «baciato da Dio».
Nel «miracolo Mozart» le doti musicali si rivelano a tre anni e nasce il mito dell’«enfant prodige», poi florido nell’Ottocento, con gli artisti in erba (anche Paganini) che si levavano mediamente due anni per risultare ancora più incredibilmente prodigiosi. Il bimbetto è subito assoggettato alla severa scuola del padre Leopold, didatta, violinista e compositore il cui capolavoro si chiama appunto Volfango. Composto il primo lavoro, un Minuetto, a 5 anni, Mozart è pronto per un’attività di viaggi e concerti che dal 1762 al 1775 vedranno padre e figlio lontani da Salisburgo per un totale di sette anni. Nel fuggire dalla «città prigione», tali viaggi (Monaco, Vienna, Parigi, Londra, l’Italia) hanno lo scopo di far conoscere al mondo civile - le capitali d’Europa - questo prodigio d’un ragazzo in vista di un «posto fisso» che peraltro non verrà mai. Sono anche viaggi di studio. Aprono orizzonti di sapere impensabili per qualsiasi musicista in erba di ieri e anche di oggi.

Così, più avanti negli anni Mozart potrà dire a un suo interlocutore: «Sbaglia di grosso chi crede che l’arte mi fosse facile. Sia ben certo, amico mio, nessuno ha fatto come me tanta fatica nella composizione. Non è facile trovare nella musica un maestro famoso che io non abbia studiato a fondo e attentamente più volte».

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