Armida Bordi
Battuta dal vento e flagellata da pioggia e neve che da giorni cadono incessanti, tanto che è stato decretato lo stato di emergenza nella zona. Genoa, Nevada, sembra in questi giorni ben meritare il titolo di «ghost town» (città fantasma) che le spetta di diritto. Eppure Genoa (che qui si incaponiscono a pronunziare con l'accento sulla o) ha conosciuto giorni di grande prosperità nel passato.
Alla metà dell'800, nel periodo della corsa all'oro, passavano per la pianura che costeggia il Carson River (quello che ha appena inondato la vallata) avventurieri, predicatori, pionieri e avanzi di galera, tutti in marcia verso la California.
Stremati dalle fatiche e dalla fame, i viaggiatori sostavano prima di affrontare la perigliosa traversata della Sierra Nevada. E a quali rischi andassero incontro lo dimostrò nel 1846 l'agghiacciante storia del gruppo che fu decimato dalle malattie e dalla fame fra le nevi del Donner Pass. Sopravvissero in pochi, cibandosi dei corpi dei loro compagni.
Ai piedi delle possenti catene montuose sorse una stazione di posta che fu chiamata Mormon Station dai mormoni che la fondarono. Ben presto però l'insediamento fu ribattezzato Genoa. Orson Hyde, personaggio di spicco nella storia locale, se ne attribuì il merito, dicendo di aver voluto onorare la memoria dello scopritore dell'America. Parecchi storici contestano questa versione sostenendo che il nome sarebbe stato scelto da un nostalgico e ignoto genovese che voleva così ricordare la patria lontana. Comunque siano andati i fatti, nel 1851 Genoa divenne la prima città del Nevada e compie quindi quest'anno ben 155 anni, un'età di tutto rispetto per l'ovest americano.
Quanto assomiglia questa Genoa alla nostra Zena? Per la verità non le assomiglia affatto. C'è una «main street» lungo la quale si allineano facciate e porticati in legno nella migliore tradizione dei film western; c'è anche un saloon che serve oggi più Coca Cola che whisky e che si vanta di essere il bar più antico del Nevada mentre il tribunale è stato trasformato in un museo in cui si conservano i ricordi di questa singolare città fantasma.
Anche il cimitero locale racconta l'epopea del tempo che fu in una sorta di antologia di Spoon River della frontiera. Come la tomba di John «Snowshoe» Thompson che oggi è ammantata di neve. Ma chi era mai «Snowshoe» Thompson?
Era un norvegese, nativo della regione di Telemark che introdusse gli sci (chiamati «scarpe da neve») nell'ovest americano e che per anni trasportò la posta tra Genoa e Sacramento in California percorrendo ogni volta 90 miglia sulle montagne innevate, spesso sciando al chiaro della luna.
Oggi quei tempi eroici appartengono definitivamente alle pagine della storia locale. Non ci sono più né cowboy né carovane dirette all'ovest, non si vendono pepite ma soltanto oggetti ricordo.
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