«Genova deve scegliere il retroporto»

Tutti d’accordo: ci vuole il retroporto, cioè un’area apposita, oltreappennino, di dimensioni adeguate, dove far affluire le merci in treno o camion, in vista del trasporto alla destinazione finale. Gli operatori marittimi, le Ferrovie, i trasportatori, nel disegnare lo scenario futuro dei traffici di merci sui moli della Lanterna, convengono assolutamente sull’esigenza di individuare, nel raggio di una sessantina di chilometri dalle banchine, uno spazio attrezzato, sufficientemente ampio e soprattutto ottimamente servito dal punto di vista logistico. Ma al comitato portuale di ieri, orchestrato dal presidente Giovanni Novi e dedicato in via esclusiva ai progetti futuri dei retroporti al servizio dello scalo genovese, i consensi si fermano qui, mentre i più o meno sottili «distinguo» affiorano già nelle parole dei quattro relatori e negli interventi successivi dei membri dell’assemblea. A suscitare le maggiori perplessità sono i problemi che affliggono da tempo immemorabile la fase cruciale: in particolare, i tempi di decisione e le risorse finanziarie.
E infatti, dopo una lucida e approfondita analisi della situazione fatta da Alessandro Carena, responsabile interporti dell’Authority di Palazzo San Giorgio, che illustra le proiezioni del traffico nel prossimo decennio e una stima delle esigenze di trasferimento veloce ed economicamente congruo delle merci - «da 62 a 73 euro per ogni contenitore trasportato» -, arriva la doccia fredda, sotto forma di intervento di Fabrizio Palenzona, presidente della società Slala-Sistema logistico dell’arco ligure e alessandrino, cui aderiscono enti e istituzioni pubbliche locali. Immancabile il riferimento al Terzo valico: «Parliamo di retroporti, di decisioni da prendere. Ma le aree potenziali ci sono, e sono tante - questo, in sostanza, il ragionamento di Palenzona -, a mancare sono le linee ferroviarie che si consideravano già fatte oltre vent’anni fa!». Non c’è avvenire, insiste Palenzona, se non si decide di investire in «un’area vasta di disponibilità logistica, che dev’essere governata, competitiva, dotata di servizi efficienti e perfettamente in grado di stare sul mercato».
In Cina, in diciotto mesi, si fa un porto - conclude il presidente di Slala -, qui non si pretende tanto, «ma almeno decidiamoci, altrimenti perdiamo l’ultimo treno dello sviluppo». Un incitamento a decidere sul retroporto arriva anche da Luigi Negri, leader dei terminalisti - «non dobbiamo far scappare questo business da Genova» -, mentre Mauro Moretti, amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana, va decisamente controcorrente, e lancia la provocazione: «Vogliamo, a proposito di Genova, continuare a parlare in termini di porto italiano o europeo?». Se questa seconda vocazione è quella auspicata e auspicabile - aggiunge Moretti -, è anche giusto dire che lo sviluppo delle linee di traffico in Europa passa attraverso i corridoi ferroviari. Dunque, bisogna privilegiare il trasporto su rotaia, «e fin d’ora, con le linee esistenti, Rfi è pronta a moltiplicare gli attuali 30 convogli portandoli fino a 130!».

A questo punto, anche il Terzo valico può aspettare? Il dubbio lascia quasi tutti interdetti, nell’austera Sala dei Capitani, prima che Novi rompa gli indugi e riporti la serenità promettendo l’immancabile commissione di studio sul retroporto.

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