Don Gallo sarebbe d'accordo: troppo l'incenso in suo onore

(...) alla salma) e quella dei giornalisti, è una sorta di turibolo verbale di parole d'incenso per il «prete di strada». Talmente troppe e talmente esagerate che avrebbero imbarazzato don Andrea, che certo si piaceva, che certo non disdegnava i riflettori, ma che aveva una certa contezza anche dei suoi limiti. E che, quindi, sarebbe stato il primo a non gradire una storia fatta solo di elogi.
Lo possono testimoniare personalmente tanti suoi avversari (mai nemici, solo sul piano delle idee) politici, che si sono confrontati o anche scontrati con lui, ma senza mai perdere quel tratto di umanità e dolcezza che il don sapeva dispensare. Lo potrebbe testimoniare don Gianni Baget Bozzo che, negli ultimi anni della sua vita, lo incontrò dopo una dura polemica, ma quella che doveva essere una sfida teologica all'Ok Corral invece si trasformò in un lungo abbraccio: «Andrea!», «Gianni!». Lo potrebbero testimoniare due vecchi esponenti missini come lo stesso Plinio che, da suo parrocchiano andava spesso a messa alla comunità di san Benedetto al Porto, ultima volta la domenica delle Palme, o come Franco Marenco che lo coinvolse in una festa di partito. Ottenendone la partecipazione. Perchè don Andrea era così: non rinunciava mai al confronto, anche quando andava per scontrarsi.
Lo posso testimoniare personalmente pure io che, un giorno in televisione, fui invitato a un confronto pubblico su non so quale vicenda di centri sociali in cui avevo, abbastanza naturalmente, una posizione diametralmente opposta a quella di don Andrea. Lui mi invitò a giocare fuori casa, poi ridendo e mordendo il suo solito sigaro acceso anche dove è vietatissimo come lo studio televisivo, aggiunse: «Tranquillo, poi ti difendo io dai duri». E giù con la più bella delle risate. O, ancora, recentissimamente, quando partecipammo insieme alla manifestazione al teatro Modena a Sampierdarena per la difesa dell'Archivolto. Per la prima volta insieme, sullo stesso palco, per una causa giusta, insieme a comuni amici come Pina Rando, Giorgio Gallione e Raffaele Niri de Il lavoro-La Repubblica.
L'abbiamo già scritto ieri, anche in articoli molto duri come raramente sono quelli quando muore qualcuno: in privato, don Andrea era tutt'altro che antipatico o sgradevole umanamente. Anzi, era un furbacchione di quattro cotte che amava farsi amare da tutti. E sarebbe folle negare la sua opera meritoria a favore degli ultimi, la sua capacità di ascoltare anche i reietti della società, in questo davvero vicino a Gesù con la Maddalena o con i lebbrosi.
Ma, detto questo, e dato al Gallo quello che è del Gallo, occorre anche dare a Dio quello che è di Dio. E dire, senza mezze parole, quello da cui Papa Francesco - straordinario sia dal punto di vista dell'umanità che da quello teologico - mette continuamente in guardia, come un suo personalissimo «mantra»: la Chiesa intesa come Ong. E la Chiesa di don Gallo, certo meritevolissima, nell'aiuto agli ultimi, assomiglia molto a quella roba lì.
Insomma, il punto non è raccontare che don Gallo ha fatto anche del bene o che era anche simpatico e dotato di una forte carica di ricchezza umano, prete amato anche dagli ultimi e dagli atei. Sarebbe folle negarlo.
Ma il punto è raccontare che don Gallo non è stato solo questo. Se gli dedico dieci pagine che sono santini continui, forse non faccio un buon servizio alla verità, nè a don Gallo e alle sue controverse sfaccettature. Soprattutto, se non dico che - oltre che ai poveri - don Gallo è stato vicino anche ai ricchi e ai potenti, magari proprio per aiutare meglio i poveri, ma ci è stato, non aiuto la serietà del suo profilo. Se non dico che don Gallo, a Genova, è stato un uomo di potere e di poteri, faccio un lavoro a metà.
Ad esempio, non si svela certo un gran segreto se si racconta che don Andrea è stato il king maker assoluto della candidatura e dell'elezione a sindaco di Marco Doria. Il primo appello, quello dei sette intellettuali, immediatamente sposato dal prete di strada, era roba da èlites intellettuali, da salotti buoni, con qualche spruzzata di popolarismo vero, come quello di Silvio Ferrari, intellettuale altissimo e raffinato, ma anche uomo del popolo di Camogli. Ma, per l'appunto, senza il «don», restava roba di quei sette promotori e dei loro amici. Con il suo aiuto, è diventata la candidatura vincente, quella che ha detronizzato un'irriducibile combattente come Marta Vincenzi, che avrebbe vinto facilmente. Basti pensare, invece, al trionfo di Doria nel seggio del ghetto, quello dei trans, per capire come sono andate le cose.
Intanto, continua l'omaggio di Genova a don Andrea. Ieri sono stati in tremila a visitare la camera ardente e sono stati fissati i funerali che saranno celebrati dal cardinale Bagnasco e da don Ciotti domani alle 11,30 alla chiesa del Carmine di via Brignole De Ferrari 3, con le orazioni laiche di Moni Ovadia e del sindaco Doria. Sul sagrato, fuori dalla chiesa.

E lì, nella scelta della parrocchia da cui don Andrea fu allontanato dal cardinale Siri, e nella convivenza alla cerimonia fra il cardinale e Moni Ovadia e Marco Doria, sta tutto don Gallo. Ma non è necessariamente una storia da (soli) turiboli.

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