Leggo oggi sulle pagine nazionali il suo fondo «Quando l'attacco alla Chiesa arriva dalla Chiesa»). Credo che l'oggetto del Suo interesse sia preminente e debba venir monitorato di volta in volta. Nel senso che se non risulta sorprendente in generale l'attacco alla Chiesa stessa, è particolarmente significativo il disciogliersi di un tessuto unitario che in larga misura proprio nel passato la Chiesa riuscì a mantenere anche nei momenti difficili. Gli episodi dei ripetuti gesti di offesa nei confronti dei simboli natalizi ne sono un esempio calzante. Se questi ultimi pensano di saperla lunga (particolarmente l'Islam) vantando presunte superiorità hanno pur diritto alle loro illusioni. Quello che davvero preoccupa è il cedimento che qua e là si avverte da parte dei «consacrati». Sembra di trovarsi oggi in una situazione non dissimile da quella che faceva avvertire continui scricchiolii, situazione così ben descritta nel celebre racconto di E.A. Poe, Il crollo della casa degli Usher. Credo che questo contesto ci accompagnerà nel futuro. Appare a noi tutti un problema di medio (se non di lungo periodo). Si tratta di una questione di fondo per l'Italia e per l'Europa (continente dove la conflittualità fra poteri religiosi e poteri laici è stata acuta nel passato, accanto naturalmente a momenti di concordia non sempre contemporanei -all'interno e all'esterno - delle diverse nazioni). Il punto che ci riguarda (credenti o non credenti) è quello della misura dell'indebolimento del cristianesimo in relazione alla compattezza delle nazioni (e dell'Italia in particolare). È fuori discussione che una ricaduta quanto ad indebolimento c'è. Ed è proprio in tale frangente che occorre rilanciare un fronte patriottico che sappia ovviare a una crisi della religione più diffusa nella nostra penisola. Dopo sessant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale, è più che doveroso ricondurre l'internazionalismo, di cui si sono fatte portatrici le sinistre e una discreta parte dei cattolici, nei limiti precisi che gli competono e che non vanno oltrepassati. Dobbiamo recuperare lo spirito del Risorgimento nelle sue luci (senza nasconderci le ombre), smettendola di piangerci addosso per quei difetti che (ancorché visibili) non cancellano il positivo che si è venuti costruendo, anche (se non soprattutto) grazie all'ingegno nazionale. Gli infelici di circostanza, i masochisti e tutta quella singolare genia che si ostina a remare contro (quale che sia l'ideale che professa) va sistematicamente rintuzzata nelle istanze di cui si fa portatrice. Certo il fatto che dei «consacrati» vadano perdendo la fiducia in se stessi e assecondino spinte emotive la cui natura psicologicamente non è del tutto chiara, è un problema cui i cattolici di buon senso devono reagire accentuando la volontà di far parte di un processo storico che è anche il loro e che ci porta (se lo vogliamo davvero) verso la ricostituzione di un senso nazionale rinnovato (di cui il cattolicesimo fa naturalmente parte, anche se io non mi nascondo che lo vorrei un po' più in linea con l'orientamento protestante incline a riconoscersi senza false remore con le istituzioni civili).
In decenni non tanto lontani (e le testimonianze sono molteplici e facilmente reperibili) era praticamente scomparsa dal linguaggio dei nostri politici la parola «patria», a poco a poco questa ignobile debolezza è venuta scomparendo.
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