(...) comunista italiano, che certo si porta in dote molto. Ad esempio, la morte drammatica durante un comizio, che ha contribuito ad alimentarne il mito in tutta la sinistra italiana. Certamente, il discorso sull'austerità e la lotta al terrorismo che costituirono un punto di svolta per il Pci. E, altrettanto certamente, uno stile e un tenore di vita senza ostentazioni che gli valsero un'ammirazione anche fra i più acerrimi avversari politici, quelli con cui si dava bastonate dialettiche tutti i giorni. Un tenore di vita senza ostentazioni che mi piacerebbe vedere anche oggi.
Detto questo, però, occorre fare un po' d'ordine nella storia. E dire, ad esempio, che Berlinguer fu quello che - pur proclamando l'eurocomunismo insieme a Marchais e Carrillo - sostenne comunque fino all'ultimo l'Urss brezenviana, senza strappi. Fu quello che concionava davanti ai cancelli della Fiat di Mirafiori, invitando i lavoratori a quello sciopero che condannò di fatto a morte la «classe operaia» come era intesa fino a quel momento. Berlinguer fu il leader del partito che, negli anni Settanta, votò in commissione e nelle aule del Parlamento il novanta per cento delle leggi di spesa che portarono il Paese sull'orlo del baratro, favorendo fra l'altro le più demagogiche fra queste, prima fra tutte quella sull'equo canone o una serie di «leggi manifesto» molto ideologiche e bellissime dal punto di vista ideale, ma assolutamente velleitarie ed inapplicabili in concreto.
Mica finita. Berlinguer fu anche quello che si schierò con forza contro gli euromissili a Comiso, spiegando che sarebbero stati l'anticamera della terza guerra mondiale, senza rendersi conto che invece sono stati decisivi per la fine della guerra fredda. E, ancora, non ultimo, Berlinguer schierò il Pci contro il referendum sulla scala mobile voluto da Bettino Craxi che precipitò - e il verbo, ovviamente, va letto in positivo - l'Italia nel mondo occidentale e nello sviluppo degli anni Ottanta.
Anche quella volta, come tantissime altre volte, Berlinguer aveva torto e Craxi ragione. Eppure, di Berlinguer, l'«onesto» Berlinguer, segretario di un partito che prendeva soldi da una potenza nemica dell'Italia, rimane sono l'immaginetta del santino. E di Bettino solo l'immagine del latitante e le satire su Hammamet. Poi, certo, questo non significa che Enrico fosse il male assoluto e che il Pci fosse la stessa identica cosa del Pcus o della Stasi. Sono semplificazioni che non servono a nessuno.
Insomma, in questo quadro, ogni tanto a qualcuno a Genova viene in mente di citare a modello Enrico Berlinguer. Su queste pagine, nel marzo di due anni fa, polemizzai proprio su questo tema con Lorenzo Basso, consigliere regionale e segretario regionale del Pd, di provenienza democristiana e seguace di Enrico Letta che citava Berlinguer tre volte al giorno, prima e dopo i pasti. Fatto ancor più grave perchè Basso ha da poco superato i trent'anni, è un vero moderato, con faccia e idee perbene e ha una storia e una formazione diversa. Che bisogno ha di andare a scomodare Berlinguer?
Dopo di lui, la corsa a glorificare postumamente Berlinguer da parte della sinistra genovese e ligure è continuata. E si è segnalato in particolare il sindaco di Genova Marco Doria, che, quantomeno, a differenza di Lorenzo Basso, viene dal Pci, di cui era consigliere di circoscrizione ad Albaro nel 1978 e consigliere comunale a cavallo fra gli anni Ottanta e i Novanta. Così, tre giorni dopo la conquista di Palazzo Tursi, Doria ha preso il treno insieme a sua moglie (a sue spese, gliene va dato atto) ed è andato ad incontrarsi con il suo omologo e amico milanese Giuliano Pisapia, proprio in occasione della scopertura della targa stradale della via intitolata all'ex segretario comunista. In quell'occasione, interpellato dall'agenzia di stampa Ansa, Marco Doria spiegò: «Ho sempre considerato Enrico Berlinguer un grande dirigente politico la cui figura lancia ancora oggi segnali forti». E qui ripeto la domanda: siamo sicuri che la Genova 2012 e i problemi della Genova 2012 abbiano bisogno dei segnali berlingueriani?
Ultimo tassello. Dieci giorni fa, nell'ambito di Mondomare, il festival ospitato ai giardini della Torre di Lavagna, è andata in scena la lettura scenica di Eugenio Allegri del testo Enrico Berlinguer-I pensieri lunghi, spettacolo scritto e diretto da Giorgio Gallione che, appena sarà più organico, diventerà una delle basi della nuova stagione del teatro dell'Archivolto.
Ecco, detto e ribadito che: a) considero Mondomare uno dei veri beni culturali dell'estate ligure e che è stato un grande peccato che quest'anno sia stato confinato solo a Lavagna, senza le altre tappe che l'hanno sempre caratterizzato, da levante a ponente; b) considero Eugenio Allegri, grazie soprattutto ai suoi commoventi Novecento e soprattutto Cyrano diretti da Gabriele Vacis, un altro grande bene culturale e, soprattutto che c) Giorgio Gallione è certamente il miglior regista genovese e ligure, capace di esportare il nostro teatro in tutta Italia, coinvolgendo attori famosi grazie al suo prezioso marchio di fabbrica. Gallione, soprattutto, insieme a Pina Rando, ha avuto la capacità di mettere un scena un teatro coraggioso, nel senso del coraggio delle idee. Poi, può esserci lo spettacolo che ci piace di più o di meno, ma questa è un'altra storia. E lo dice chi, come me, ha firmato negli anni le più dure stroncature dei lavori di Gallione, da Pinocchia a Ciò che vide il maggiordomo, rendendogli invece merito per alcune opere straordinarie.
Fatte tutte queste premesse indispensabili, credo che Enrico Berlinguer - I pensieri lunghi, sia davvero quello che può essere lo spartiacque della Genova teatrale dell'anno prossimo. E forse non solo teatrale. Se Gallione avrà il coraggio e l'onestà intellettuale di non cadere nel santino agiografico, allora lo spettacolo può essere davvero prezioso, così come lo è stato, proprio per alcune scelte coraggiose, non tutte, il suo straordinario Eretici e corsari su Pasolini e Gaber. Anzi, se Giorgio vuole occuparsene, questa è casa sua.
Insomma, tutto dipende dallo spazio che darà Gallione a quelle che lui stesso definisce «le contraddizioni» di Berlinguer.
Il dibattito, da cui passa la domanda su cosa vuole fare da grande Genova, è aperto. Le nostre colonne pure.
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