Il vincolo di mandato sta nella moralità del servizio politico

Caro Massimiliano, vorrei intervenire nel dibattito sull'articolo 67 della Costituzione che non prevede il vincolo di mandato per i Parlamentari eletti.
Credo che i deputati dell'assemblea costituente abbiano inserito questo articolo per evitare che l'invadenza dei partiti potesse condizionare le opinioni e le scelte che i rappresentanti del popolo sovrano liberamente eletti avrebbero potuto adottare nell'esercizio del mandato ricevuto. Quello che sta accadendo in questo periodo, e che in un passato non troppo lontano ha visto migrazioni consistenti di «onorevoli» da un gruppo politico all'altro in totale spregio del mandato ricevuto dagli elettori, non credo possa essere interpretato dai rappresentanti eletti come una conseguenza diretta del loro «status» di onorevole, che senza vincolo di mandato può disporre del proprio voto a sostegno di fazioni, partiti e maggioranze per le quali non hanno ricevuto nessun mandato dai propri elettori.
Evidentemente i componenti dell'Assemblea Costituente non potevano prevedere l'evoluzione che la politica ha subito in 60 anni di «democrazia». Allo spirito di servizio per la collettività si sono sostituite, nel corso degli anni e in modo sempre più frenetico, la corsa al potere e l'occupazione sistematica di presidenze o partecipazioni ben remunerate nel sottobosco del pubblico impiego destinate in massima parte ai funzionari dei partiti politici che così facendo si sono infiltrati nei gangli vitali dell'apparato statale condizionandone la funzionalità e l'efficienza a secondo degli interessi particolari.
La situazione nella quale ci troviamo è il risultato della «gestione» che i partiti politici hanno praticato per mezzo secolo al nostro Paese, pensando esclusivamente a promuovere i propri interessi e fare mantenere dai contribuenti un apparato burocratico mastodontico per dimensione e microscopico per efficienza. In un simile contesto, con le credenziali che la classe politica può vergognosamente vantare, pretendere che il rappresentante eletto abbia il rispetto dei propri elettori con i quali ha instaurato un rapporto di fiducia non credo costituisca un attentato alla democrazia, anzi poterebbe la politica, quella giusta, al livello della gente comune fuori dalle stanze del potere.


Se poi dovesse accadere che un rappresentante eletto non si ritenesse più in sintonia con il programma a suo tempo concordato con i suoi elettori, esiste sempre l'istituto delle dimissioni anche se prendo atto che tale pratica viene usata raramente poiché comporta la rinuncia a un trattamento economico consistente che non trova paragone nelle altre democrazie occidentali.
Per questo sarebbe necessaria una «sospensione temporanea» dell'articolo 67, in attesa che la politica ritorni alle origini operando per una rinascita morale ed economica del Paese.

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