Il «gesto» fotogenico dei direttori d’orchestra

Pietro Acquafredda

Non si dà arte senza gestualità e neanche la musica è pensabile senza. Dalla scrittura, gesto creativo con cui la musica si distende sulla carta a formare un labirinto inestricabile, all’esecuzione, quando un altro gesto, quello dell’interprete, porta la musica a vita temporale. E se è vero che la musica è impossibile fissarla in immagine, perché allo stesso buio silenzioso, dal quale si era materializzata come per incanto, supplicata da una voce, carezzata da uno strumento, ritorna quando finisce, senza lasciare traccia alcuna di sé; un obiettivo può, tuttavia, fissarne gli attimi attraverso l’immagine palpabile di un interprete e più ancora di un direttore che della pura gestualità è sofisticata incarnazione.
Sì, il direttore. Quante volte s’è discusso del gesto direttoriale. Elegante o rozzo, efficace, inespressivo: categorie gestuali che solo una foto può fissare a futura memoria.
Giusy Caltagirone, fotografa e appassionata di musica, autrice delle immagini dei direttori - tutti tassativamente «in prova» e tutte in bianco e nero - che in questa primavera si sono avvicendati sul podio dell’Accademia di Santa Cecilia, da Pappano a Tate, da Jurowski a Blacher a Pletnev e Colon, è al suo secondo racconto per immagini che ha come oggetto la musica. L’anno scorso ha raccontato il festival che si svolge all’Accademia Americana, il Rome Chamber Music Festival ed ora questa galleria di direttori ceciliani e prima di tutti Antonio Pappano. Alcune sue foto fanno venire in mente Francis Bacon per la forza delle braccia tese come quelle di un atleta e del volto spianato sulla carta, nello sforzo di accendere il fuoco nell’orchestra.

Non vi si leggono più persone, ma «la febbre costante di musicisti, nella totale atmosfera di intimità che rende il momento unico» (Giusy Caltagirone).
Auditorium. Foyer Sala Santa Cecilia. «Senza titolo» di Giusy Caltagirone. A cura di Angelo Bucarelli. Aperta fino al 24 luglio.

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