Gheddafi, la farsa del mandato di cattura

La richiesta dell’Aia per "crimini contro l’umanità" ha un valore politico. E rischia il flop davanti al tribunale internazionale. L’obiettivo è togliere di mezzo il raìs. A ogni costo

Gheddafi, la farsa del mandato di cattura

Ci siamo. Muhammar Gheddafi è pronto a passare alla storia come il nuovo Omar Mukhtar vittima non più del colonialismo fascista, ma dell’arroganza della Nato e dell’Occidente. Qualche morto sulla coscienza il raìs sicuramente ce l’ha. Dalle 270 vittime della bomba esplosa su un aereo in volo sui cieli scozzesi di Lockerbie nel dicembre 1989 fino alle migliaia di libici eliminati nel corso di 41 anni di potere. Ma mettergli sulla testa un mandato di cattura internazionale per la campagna di repressione interna messa in atto dal 15 al 28 febbraio è una presa in giro. Il mandato, per crimini contro l'umanità, emesso dalla Corte Internazionale dell’Onu ai danni del raìs, di suo figlio Saif Al Islam e del capo dei servizi segreti Abdullah al Senussi non reggerebbe probabilmente a nessuna prova dell’aula. In serata la Libia ha respinto la decisione della Corte penale internazionale (Cpi) sul mandato d’arresto nei confronti del leader Muammar Gheddafi: «Non ne riconosciamo l’autorità - ha detto il ministro della Giustizia, Mohammed al Qamoodi - Il mandato di arresto è solo una copertura per la Nato».Ma poco importa. Il raìs non va giudicato, ma tolto di mezzo. A qualsiasi costo. E con qualsiasi mezzo. Anche con un mandato destinato a non sopravvivere al tribunale della Storia. Un mandato il cui valore, cinicamente politico, risuona già nelle dichiarazioni di Moreno Ocampo, l’inquisitore incaricato d’inchiodare il Colonnello per conto dell’Onu. «Gheddafi e gli altri imputati devono essere arrestati per impedir loro di commettere nuovi crimini e nascondere le prove di quelli passati questo - sostiene Moreno - è l’unico modo per offrire protezione ai civili».
Peccato che nessuno dei crimini individuati dal suo atto d’accusa sia stato ancora provato o confermato. Se le date contano sarà utile ricordare che tra il 15 e il 28 febbraio non era arrivata a termine neppure quella riconquista di Zawya, considerata l’atto più spietato e sanguinoso della repressione. La cittadina ribelle, situata 50 chilometri ad ovest Tripoli, si sollevò intorno al 25 febbraio e non venne riconquistata prima del 10 marzo. Di certo nei giorni tra il 15 e il 28 febbraio non sono avvenuti, come dimostrano i recentissimi rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch, gli stupri di massa attribuiti dal procuratore Moreno alle forze governative. E sicuramente non sono state messe a segno né allora né mai, come già emerso con sufficiente chiarezza, le stragi di civili stesi dagli aerei del raìs e poi sepolti, a dar retta ad Al Jazeera, in immaginarie fosse comuni. Dunque che resta? Restano gli scontri di Bengasi. Dal 13 al 26 febbraio il raìs e i suoi sodali hanno sicuramente cercato di reprimere le rivolte scoppiate a Bengasi e negli altri centri della Cirenaica. Ma l’hanno fatto utilizzando gli stessi metodi applicati da tanti altri satrapi africani e mediorientali. E così la farsa - priva di fondamenta, ma indispensabile per mettere con le spalle al muro il raìs - rischia di compromettere non solo la rispettabilità della Corte dell’Aia, ma anche quella della Nato e del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Soprattutto quando scopriamo, grazie alle rivelazioni del quotidiano inglese The Telegraph, che l’ex ministro degli Esteri e capo dei servizi segreti libici Mussa Kussa passa le sue giornate nelle sontuose stanze del Hotel Four Season del Qatar. Ve la ricordate la sua storia? Ai primi di aprile il ministro degli Esteri, considerato a suo tempo uno dei mandanti della strage di Lockerbie, abbandona dopo 30 anni di fedele servizio Muhammar Gheddafi e si rifugia a Londra. La nostra intelligence suggerisce immediatamente ai colleghi della Nato di usarne esperienza e conoscenze per individuare un successore in grado di scalzare il raìs. Ma il governo inglese non ci sta. Per la disperazione dei suoi stessi 007, Londra preferisce garantire che Musa Kussa verrà, se necessario, consegnato alla Corte internazionale dell’Onu.

E così qualche settimana dopo il grande traditore fa due conti e decide di non rientrare dalla trasferta in Qatar offertagli da Londra per consentirgli d’incontrare gli altri esponenti dell’opposizione riunitisi nell’Emirato. Se il raìs piange insomma, i suoi nemici non hanno molto per cui rallegrarsi.

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