Sintitola Naviglio Blues (Fratelli Frilli Editori, pagg. 490, euro 15,90), come la poesia di Alda Merini cantata alla fine del libro, il nuovo romanzo di Adele Marini (il terzo dopo Il Consulente e Milano, solo andata), ma la musica che scorre tra le sue pagine non è triste come un blues, ma molto più angosciante e cupa, toccando a tratti le tonalità del gotico.
Il triangolo tra Rozzano e i suoi palazzoni costruiti in economia negli anni Sessanta per accogliere gli immigrati meridionali (la faccia oscura del boom economico milanese), la zona di Porta Venezia e la Questura: questa la geografia di un'inchiesta condotta in parallelo da Polizia (la strana coppia formata dagli ispettori Vincenzo Marino e Sandra Leoni) e Carabinieri (l'inappuntabile tenente colonnello Glauco Sereni) per ritrovare tre bambini: l'undicenne Ivan, scomparso con la sorellina Martina, e il neonato Giovanni.
Ivan e Martina vivono a Rozzano, frequentano l'oratorio «di frontiera» gestito da don Mario, Giovanni è stato rapito ai Giardini di Porta Venezia, a quanto pare dalla stessa organizzazione che si è impadronita di Ivan e Martina...
Adele Marini, com'è nata l'ispirazione per Naviglio Blues?
«Dal fatto che ogni anno scompaiono molti bambini. Alcuni per problemi famigliari, ma altri sono vittima di traffici criminali: sono usati per togliergli organi vitali, provare nuove droghe o per essere sfruttati dai pedofili. Le vittime, in questo caso, non finiscono sui giornali, dato che sono rapite negli orfanotrofi dell'Est Europa o in altri luoghi lontani dai riflettori».
Lei è una giornalista e per anni si è occupata di cronaca nera. La materia del romanzo deriva da qualche vicenda di cui si è occupata?
«Non da una in particolare, ho attinto alla cronaca, a internet, a programmi tv come Chi l'ha visto? e, ovviamente, ho usato come consulenti i miei contatti tra le forze dell'ordine».
Luoghi, persone e procedure sono descritti con grande cura...
«In un libro c'è sempre qualcosa delle proprie esperienze. Quando si scrive è naturale avere in mente qualcuno, anche se non è il protagonista della vicenda. Gli agenti che racconto sono quelli di tutti i giorni e anche Don Mario, il parroco di Rozzano, ricorda alcuni sacerdoti che lavorano con ragazzi a rischio, ma ovviamente ho cambiato i nomi. Sempre a proposito di Rozzano, vorrei ribadire quello che scrivo alla fine del libro: che negli ultimi anni, grazie ad amministratori e insegnanti coraggiosi, la città ha saputo uscire dalla criminalità e dal disagio sociale».
E il Bar Dany di Rozzano, il locale di periferia che nasconde una bisca, ma anche orribili segreti?
«Quel bar è modellato in parte su un locale simile, scoperto molti anni fa a Civitavecchia, ma soprattutto mi serviva per concentrare molti elementi in un uno solo: è una bisca clandestina, come a Milano e dintorni ce n'erano tante negli anni Settanta, quando comandavano Francis Turatello e Angelo Epaminonda il Tebano, ma anche un punto d'incrocio con la nuova mafia, quella russa, ancora più spietata e feroce di quella italiana».
Prossimi progetti?
«Ho scritto un racconto per un'antologia di noir al femminile che uscirà con Sperling&Kupfer e un manuale di procedura giudiziaria e di tecniche investigative a uso di giornalisti e aspiranti scrittori».
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