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Giallo in Marocco sulla sorte di Daki «Lo hanno arrestato all’aeroporto»

Secondo i legali l’islamico espulso dall’Italia sarebbe in un carcere bunker. La sinistra: «Pisanu deve risponderne». Cicchitto replica: «Non si gioca col fuoco»

Marcello Foa

da Milano

È arrivato a Rabat, ma non ha mai lasciato l’aeroporto, perlomeno ufficialmente. Mohamed Daki, il marocchino espulso dall’Italia perché ritenuto «elemento pericoloso per la sicurezza del nostro Paese», sembra svanito nel nulla. Nessuno sa dove sia: non i familiari, non il governo del Marocco, che tace sulla vicenda, non il suo avvocato italiano Vainer Burani, non il Viminale. Restano una certezza, un dubbio e tante polemiche.
La certezza: Mohamed Daki non è in libertà ed è trattenuto dalle autorità di Rabat.
Il dubbio: dove è rinchiuso? E con quali accuse? La legge marocchina prevede che una persona possa essere trattenuta fino a dieci giorni in detenzione preventiva anche senza tutela legale. In teoria fino al 20 dicembre la polizia non è tenuta a indicare il luogo della detenzione, tanto più che Daki, sebbene sia stato assolto in Italia dall’accusa di associazione eversiva finalizzata al terrorismo internazionale, è considerato dai servizi segreti internazionali molto vicino ai gruppi fondamentalisti armati. E dopo gli attentati di Casablanca del 16 maggio 2003, anche questo Paese ha optato per la linea dura contro gli islamisti. Ieri sono circolate voci, secondo cui Daki sarebbe stato preso in consegna dall’antiterrorismo e che ora si troverebbe nel carcere duro di Kinitra. In tarda serata i familiari hanno smentito queste ricostruzioni sostenendo di aver aspettato il loro congiunto all’aeroporto «da dove però non è mai uscito» e che «nessuno ha saputo dire che fine abbia fatto».
Le polemiche. Interpellato dal Giornale, l’avvocato Vainer Burani attacca, sostenendo che «l’ordinamento italiano prevede che una persona non possa esser consegnata a un Paese che non garantisca il rispetto dei diritti umani». Secondo il legale italiano di Daki «c’è di che allarmarsi» e «Pisanu deve risponderne». Ma il Viminale respinge le accuse. «Né l’Onu né altre organizzazioni internazionali riconosciute accusano il Marocco di violare le leggi internazionali», afferma il portavoce Luca Mantovani «e dunque le competenze del nostro Paese terminano al momento del loro rimpatrio». Al ministero degli Interni insistono su un aspetto: se Daki avesse temuto per la propria incolumità in patria avrebbe dovuto presentare domanda d’asilo, ma non lo ha mai fatto. Ricordano che era venuto in Germania per studiare nel 1989 e che nel 2003 si è trasferito in Italia. D’altronde proprio Berlino, come aveva dichiarato Pisanu nel febbraio scorso, «aveva fatto inserire Daki nel sistema informativo di Schengen, col divieto di attraversare la frontiera europea fino al 21 giugno 2007». Come dire: non era solo l’Italia a diffidare di questo 40enne marocchino, ritenuto amico e fiancheggiatore della cellula che pianificò gli attentati alle Torri gemelle.
Ma una parte della sinista insiste. La senatrice dei Verdi Tana de Zulueta pretende che il governo chiarisca «se corrisponde al vero la notizia che il giovane marocchino sia stato ascoltato e, a quanto pare, anche minacciato da agenti dell'Fbi, senza la presenza di un legale». Pesanti critiche anche da parte di Gianfranco Pagliarulo, senatore del Pdci, mentre la Casa delle Libertà è compatta nel difendere il provvedimento del ministro dell’Interno.

«Abbiamo la conferma che l'estrema sinistra continua a giocare con il fuoco rispetto ad una situazione che presenta rischi rilevanti dal punto di vista del terrorismo internazionale», replica Fabrizio Cicchitto, vice coordinatore di Forza Italia, secondo cui «non si può scherzare con il fuoco e abbassare la guardia in una situazione nella quale tutte le sorprese sono possibili».

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