Andrea Acquarone
nostro inviato a Parma
Barricato nella Procura di Parma, in vicolo San Marcellino, il pm Pietro Errede allarga sconsolato le braccia. Accetta un incontro con la stampa - per la verità a entrare nel suo ufficio è una sola collega -, ma a patto che non si parli dell'inchiesta. Cosa dirsi dunque? Lei ci prova: «Rivedremo Tommaso. E quando? Tempi lunghi?». Il procuratore scuote il capo, il sorriso si contrae e il volto si fa marmoreo. A volergliela leggere dalla faccia, cercando di interpretare, la risposta è: Chi lo sa? Tre piani più giù, nell'androne protetto da due porte blindate, c'è un bimbo in un passeggino. È il ritratto sputato di Tommy, davvero sembra quello delle foto, e accanto c'è una donna. È la madre. Chiacchiera con la guardia giurata di turno. Fossimo in un altro posto qualcuno avrebbe gia telefonato al 112 segnalando la presenza del piccino rapito.
Oggi, 25 marzo, fanno ventitré giorni che di Tommaso, strappato dal suo seggiolone di Casalbaroncolo mentre la mamma Paola aveva appena finito di preparargli il biberon, non si sa più nulla. Carabinieri e poliziotti, coadiuvati di volta in volta dai vari vigili di paese e dai volontari della Protezione civile, cercano di restringere il cerchio delle perlustrazioni, una morsa di controlli a tenaglia nella speranza di costringere i rapitori di questo bimbo malato d'epilessia, a compiere un passo falso. Magari spostandosi con l'ostaggio verso nuovi rifugi. Mentre fuori si gettano le reti. Eppure, certo è che anziché diminuire il ventaglio dei sospettati aumenta. Giorno dopo giorno, di pari passo con le prime risposte delle analasi dei Ris e soprattutto con la necessità di riscontri da parte degli investigatori. E con il loro dubbi. A cominciare dalla mancanza di un movente per questo sequestro sempre più tinto di giallo.
Fino a qualche giorno fa si parlava di una sessantina di persone finite «sotto controllo». Adesso il numero sarebbe più alto e di parecchio. Gli uomini in divisa continuano a passare al setaccio i mille cascinali della Bassa sparsi come puntini invisibili in mezzo ai campi pronti per la semina: si va da Parma a Mantova, a Reggio Emilia, fino ai confini cremonesi. Con particolare attenzione alla zona di Brescello, il paese nel quale la cinematografia faceva «gioiosamente» litigare Peppone e Don Camillo. Il prete e il sindaco rosso in questi giorni uggiosi hanno lasciato il passo a decine di auto coi lampeggianti che si muovono come zanzare frenetiche. Frugando qua e là, partendo sgommando verso case e cascinali. Da queste parti abitano un paio di personaggi dalla fedina penale non troppo pulita. Guarda caso, ancora una volta gente di Calabria: sembra si tratti di padre e figlio, ma nessuno conferma. I carabinieri hanno perquisito la loro abitazione. Il mandato non serve: con la «scusa» di essere a caccia di armi o droga si entra nella casa di chiunque senza mandato. In realtà gli investigatori, da tre settimane, cercano solo e sempre questo bimbo sequestrato.
Suo padre, il direttore delle Poste di via Montebello, ieri mattina, per mezz'ora, è tornato nella villetta di Casalbaroncolo a cui sono appena stati tolti i sigilli dell'autorità giudiziaria. Lui porta da mangiare ai due gatti di casa rimasti orfani dal giorno dopo il rapimento, un po' di becchime per le galline del pollaio. Poi, sempre più tirato prova a rispondere alle telecamere accampate fuori dal cancello. «Ottimista dopo il ritrovamento di Tody (il cagnolino di famiglia sparito qualche giorno prima del bambino, ndr)? Cosa devo dire: ormai speriamo e basta. Io e mia moglie siamo stanche, lei sta male. Certo, il cane non era malridotto, in qualche modo ha trovato cibo, si è nutrito. Come non lo so». È una pista che gli investigatori battono con fiducia quella di Tody. Certo: attorno al cascinale vicino a Sissa dove è stato trovato da un contadino non è arrivato da solo. Troppi trenta chilometri da percorrere anche per inseguire l'istinto della natura: qualcuno, dunque, lì deve avercelo portato, di certo una persona alla quale l'animale ha permesso di avvicinarsi.
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