Uno dopo l'altro sfilano sul podio del Piermarini molte bacchette note all'estero, e spesso anche da noi, che non avevano mai ottenuto l'imprimatur. Nella marea di direttori, tutti più o meno attestati sui quaranta, che vanno e vengono, alcuni sono ritorni.
Se personalmente riteniamo giusto e avvincente questo cammino un po' avventuroso, altri, che non mancano delle loro buone ragioni, non riescono a digerire la bella e esclusiva vetrina scaligera, sinonimo di garanzia, outlet di sé stessa.
Sia come si vuole adesso tocca a Gianandrea Noseda. Che domani dirige un concerto della stagione della Filarmonica. Principale alla BBC Philharmonic di Manchester, pupillo di Gergev, primo ospite principale straniero del Marjijnsky di San Pietroburgo, fondatore della Marijinsky Young Philharmonic Orchestra, primo direttore del Sinfonica RAI, direttore musicale e artistico in pectore del Regio di Torino, una città colta e difficile, non si può certo dire che difetti di credenziali. Né di un suo pubblico locale, vista lantica consuetudine con la Verdi. Anche lui viene dal nostro Conservatorio. Un cannocchiale che ha sempre considerato la Scala un mito.
È emozionato, non la smette di parlare dell'esperienza pietroburghese. Dalla vodka alla familiarità che induce la gente a chiamare i grandi compositori russi con il nome di battesimo, alla donnina che passa la vita nello stanzone dove si accatastano i cappotti del gelo siberiano e legge, parla di ostakovic chiamandolo Dmitri.
Noseda sottolinea il suo amore per tutto il repertorio ma anche il rispetto che gli impedisce di affrontare autori e pagine per le quali non si sente pronto. Adesso tutti vogliono la Settima di Mahler «ma perché proprio quella? Io non sono ancora all'altezza». Ama tanto l'operistico che il sinfonico. Sebbene a entrambi i generi manchi qualcosa. L'opera condiziona con i mille inceppi dell'allestimento (lui pretende di incontrare i registi un anno prima), alla sinfonica manca l'elemento visivo. «Io cerco, la sintesi, l'armonia, il tutto».
Il nostro è amabile, alla mano, a tratti disarmante. Prendiamo Michelangelo (in programma Suite su versi di Michelangelo Buonarroti op. 145a). Quella poesia è difficile, commenta, né latina né italiana. C'è un fondo di verità. Che sta nel fatto che il grande scultore non aveva la preparazione letteraria necessaria per immettersi nel petrarchismo cinquecentesco. E dunque le Rime contrappongono spesso alla consueta scioltezza contorsioni e durezze. L'esaltazione di alcuni affetti è spesso dovuta alla decontestalizzazione.
In ogni caso domani il basso Ildar Abdrazakov canta in russo, come previsto. Dopo ostakovic, l'autore che non cessa di inquietare anche per motivi biografici (perché è rimasto in quella Russia minacciosa, per patriottismo o impossibilità fisica, psichica, economica, di andarsene?) è programmata la Terza di Beethoven.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.