Milano - «Gianfranco Fini arriva a Milano? Non portava nessuno in piazza prima da leader di An, figuriamoci se ci spaventa oggi». Il benvenuto dell’onorevole Massimo Corsaro è di quelli aspri. «Il grave - s’infervora l’ex colonnello di An oggi roccioso deputato Pdl - è che sta facendo un giro d’Italia fingendo di muoversi nel suo ruolo istituzionale, in realtà a caccia di adepti per il suo partito. Un fatto che non ha precedenti nella storia politica».
L’appuntamento è per le 18.30. Al Derby, il cabaret di Cochi e Renato, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, anche se i «futuristi» ci tengono a dire che la sede non è quella storica di viale Monza. Spostata dietro piazza San Babila, quella dei fasci anni ’70 e del «discorso del predellino», quando il 18 novembre 2007 Silvio Berlusconi rilancia la campagna popolare di raccolta firme sotto i gazebo per chiedere nuove elezioni e annuncia la nascita del partito unico. Sono passate poche ore dalla contestazione di Fabrizio Cicchitto al convegno di An, e Fini quello scatto in avanti di Berlusconi fatto senza di lui, mai lo avrebbe digerito.
Oggi torna a Milano, culla di Forza Italia e del Pdl, il luogo dove Berlusconi torna simbolicamente sempre a votare. Dove sindaco, presidente della Provincia e presidente della Regione amministrano da anni (in qualche caso da lustri) con un monocolore azzurro. Una città che Fini non l’ha mai amato. Non c’era ai tempi dei sanbabilini e degli scontri con le spranghe dei katanga, fra cui Stefano Boeri oggi archistar candidato dai salotti buoni alle primarie del centrosinistra, non c’era al fianco di Giorgio Almirante al funerale dello studente missino Sergio Ramelli, massacrato dai comunisti sotto casa. Non c’era nemmeno al momento di far crescere An e quando bisognava aiutare la fusione con Fi. Ma non c’è stato nemmeno quando gli imprenditori del Nord chiedevano meno burocrazia e più libertà, meno assistenzialismo e più riconoscimento del merito. «Una filosofia quella di Fini - ricorda un proprietario d’azienda - lontana dalla nostra mentalità».
Basta pensare alla sua ultima richiesta, una maggior tassazione delle rendite. Roba da un comunista come Fausto Bertinotti che dovette pure litigare con Romano Prodi. Fini a Milano ci fu, invece, quando in una sera tolse il ruolo di coordinatore regionale a Corsaro per affidarlo a Cristiana Muscardini. Commissario senza esercito che, infatti, alla prima votazione possibile lo dovette restituire a Corsaro. Storia da ricordare a chi oggi parla di sultanati e partiti aperti alla partecipazione popolare. Uno dei tanti errori di Fini al Nord. E, infatti, a Milano il partito l’hanno sempre avuto in mano Ignazio La Russa e gli uomini della Destra sociale di Gianni Alemanno come il deputato Paola Frassinetti e l’eurodeputato Carlo Fidanza che qui hanno anticipato un esperimento di alleanza tra i leader della destra poi trasferito anche su scala nazionale.
Certo oggi al Derby ci sarà il pieno. Protagonisti, comparse e curiosi. I finiani doc Muscardini, Giuseppe Valditara, Giampaolo Landi di Chiavenna (ex deputato di An, oggi assessore nella giunta Moratti) attesi sul palco come aperitivo. Poi parlerà Italo Bocchino, un altro non certo destinato a scaldare il cuore del Nord. Poi toccherà a Fini. Non prima, però, di aver incontrato la pasionaria rossa (prima di testa, oggi di capelli) Tiziana Maiolo, transitata dal Manifesto ai radicali, da Rifondazione a Fi. Oggi un altro salto. Più prudente, invece, l’ex sindaco e oggi eurodeputato Gabriele Albertini, vero bersaglio grosso della caccia di Fini. Che vorrebbe schierarlo già a primavera contro la Moratti. Lui nega, ma «ascolta». Dovesse avere qualche certezza in più sul futuro del carrozzone futurista, potrebbe anche cedere. Ha già ceduto, invece, Manfredi Palmeri il presidente del consiglio comunale. E la donna da guinness, Barbara Cabò, cinque cambi (An, La Destra, Fi, Pdl e ora Fli) in una sola legislatura. «Vogliamo - assicura - costruire una nuova classe dirigente». Pronta la risposta. «Solo delusi, gente che spera in un assessorato o in una candidatura».
Già pronti i gadget. La t-shirt arancione della «grande rivoluzione liberale dell’Ucraina», (nientepopò di meno) e quella con il Fini-Marilyn tipo Andy Warhol che punta il dito contro Berlusconi.
Annunciata anche la protesta del «barone nero» Roberto Jonghi Lavarini («Faremo sentire, forte e chiara, la voce dei missini milanesi che chiedono che il traditore Fini se ne vada sia dalla poltrona di Montecitorio che dalla nostra casa di Montecarlo»). Già pronto, assicura Landi, un apposito servizio d’ordine. E la sinistra? Applaude convinta all’arrivo di un ex fascista. Diventato messia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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