In Giappone la cura italiana anticancro di Buzzi

In Giappone la cura italiana anticancro di Buzzi

Ravenna - Saranno un bel diecimila chilometri. Metro più metro meno. E loro li hanno fatti, sono partiti da Osaka e da Fukuoka. Dal Giappone sono arrivati a Ravenna. A spese e per conto del governo di Tokio. Tre giorni di full immersion. Per imparare. «Loro» sono il professor Esuke Mekada, il dottor Shingo Miyamoto, il dottor Hosoi. Ricercatori e uomini di scienza che è difficile immaginare seduti come degli scolaretti ad ascoltare le parole di un medico italiano cui da trent’anni, in Italia, sbattono la porta in faccia solo perché ha avuto un’intuizione sorprendente che può aiutare a combattere il cancro. Quella del dottor Silvio Buzzi, 77 anni, neurologo di Ravenna, è una storia già nota ai lettori del nostro giornale. L’ha raccontata Stefano Lorenzetto, poi è stata abbozzata semiclandestinamente qua e là. Scampoli di buona stampa, sempre non richiesti, su un uomo che, nella sua vita, anziché inseguire popolarità e guadagno, dopo un’illuminazione avuta in sala operatoria quarant’anni fa (leggere il libro autobiografico il Talco sotto la Lampada - Edizioni Ares) ha invece inseguito a ritroso il percorso della tossina che provoca la difterite, arrivando ad accertarne la sua valenza antitumorale.

Una carta in più da giocare in una lotta che non ammette esitazioni. Un’opportunità legata alla fortuna e all’accoglienza, che finora non ha avuto, del Crm197, una replica della tossina difterica alla quale è stato sostituito l’unico aminoacido nocivo dei 535 che la compongono. Buzzi ha testato il Crm197 su 600 malati, casi descritti in uno studio pubblicato da Cancer Research nell’82, iniettando direttamente la tossina difterica. E su altri 400 la tossina bollita, atossica al pari del Crm197. Usando il Crm197 contro il cancro nel 30% dei casi ha ottenuto una riduzione del tumore: dal 50% fino alla completa guarigione. Anche se ha sempre ripetuto che il Crm197 «non è la vittoria sul cancro ma solo un contributo alla lotta». Le sue ricerche sono finite su Cancer Immunology e The Lancet e, fresco di stampa, anche su Therapy. Riviste che non sono fumetti. Fatto sta che il mite dottore, colpevole anche di non avere santi nel paradiso rosso della politica, tiene l’arma ma non le munizioni. Perché il ministero, l’Agenzia del farmaco, e anche la Novartis, che possiede la molecola-chiave, non se la sentono di tentare. Di concedergli anche una goccia di quella sostanza. Mica è il Viagra, il Cmr197, no? Dal 1997 al 2003 Buzzi ha dovuto pietire per averne 700 milligrammi. Poi più nulla. Pare di rileggere la vicenda di un tale professor Di Bella, trascinato a furor di popolo sui giornali, cui la Bindi fu costretta a tendere la mano ma che, appena ne ebbe occasione, si affrettò ad accompagnare all’uscita di servizio facendo archiviare la sua multiterapia con una sperimentazione maldestra, come accertarono carabinieri dei Nas e giudici. Perché se una autorevole delegazione di ricercatori e oncologi viene dal Giappone apposta per incontrare l’umile dottore italiano, il ministro della Salute Livia Turco non si degna nemmeno di ascoltare le sue richieste, guardarlo negli occhi e tastare il polso della sua ostinazione.

onvocato è stato convocato a Roma, il dottor Buzzi, ma solo per sentirsi ordinare, era il 19 aprile, nella sede dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, ministero della Salute, di smetterla di strepitare per aver qualche fiala del suo benedetto Crm197. E di starsene lontano dai giornali, dagli ospedali e dalle aziende farmaceutiche che potrebbero aiutarlo. Autoeclissarsi, insomma. Allontanarsi persino dai malati di tumore che, stando così le cose, importante precisarlo, è perfettamente inutile che bussino alla sua porta. Anche se avrebbero il diritto di scegliere la terapia da seguire. E che, inferociti, urlano la loro rabbia on line nel sito www.crm197.it. Ma da ieri Buzzi si sta prendendo la sua più bella soddisfazione: ore e ore a parlare con la delegazione giapponese, affiancato dalla figlia Anna, pure neurologa.

Decine di sue ricerche sul tavolo, filmati, diapositive, disegni. E i nipponici che chiedono e annotano per fare un pieno di informazioni. «Perché a novembre - annuncia il dottor Shingo Miyamoto, oncologo ginecolocigo, esperto di biologia molecolare della Kyushu University di Fukuoka - proprio grazie all’esperienza raccolta dal dottor Buzzi, avvieremo un trattamento iniettando il Crm197 su 18 donne affette da carcinoma ovarico, una patologia che il derivato della tossina difterica ha già dimostrato di far regredire se non addirittura annientare».

E il team leader della delegazione, il professor Esuke Mekada, direttore del dipartimento di ricerche microbiologiche dell’Università di Osaka, allievo del professor Uchida che inventò il Crm197 ma lo sperimentò solo sulle cavie, aggiunge: «Non ci importa che il nostro collega sia isolato o boicottato, siamo qui per imparare e per invitare il dottor Buzzi in Giappone. Saremmo molto lieti che affiancasse la nostra attività di ricerca». Mekada e Miyamoto non hanno perso tempo e con la benedizione del governo giapponese hanno già brevettato l’uso del Crm197 come antitumorale.

Sorride di soddisfazione il medico ravennate che sognava di diventare come il dottor Manson della Cittadella di Cronin. Per lui è una vittoria morale, certo. Ma per quest’Italietta popolata di presuntuosi supporter della chemioterapia è un’altra sconfitta.

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