GIGANTESCA IPOCRISIA

Sul fallimento della scalata Unipol a Bnl si è espresso ieri questo duro giudizio: «L'Italia si è salvata da un grosso rischio: quello rappresentato dalla nascita di un centro di potere che si pretendeva chiamato a rinnovare il capitalismo italiano». Chi denuncia queste trame di potere? Lo scatenato Silvio Berlusconi? Gianfranco Fini che lo insegue? È Pierferdinando Casini a deplorare l'imbarbarimento dello scontro politico? No, il micidiale attacco all'avidità di potere dei Ds non viene dal centrodestra. È di Francesco Rutelli, che accompagna l'affondo con uno sberleffo, ribadendo «la totale, leale e convinta solidarietà a Fassino e ai Ds».
Come è sempre più evidente nel centrosinistra non c'è solo concorrenza tra forze politiche, evidenziata da una legge più accentuatamente proporzionale. Concorrenza c'è anche nel centrodestra. Nella cosiddetta Unione - proprio un termine azzeccato - si è scatenata una lotta lacerante perché c'è una falsa leadership e non c'è una base politica per consolidarla.
D'altra parte, un carrozzone elettorale che vuol mettere insieme Clemente Mastella e Marco Pannella, Diego Della Valle e Fausto Bertinotti, Antonio Di Pietro e il no global Francesco Caruso, non può che appellarsi a logiche spartitorie per reggere, sia pure malamente. Come si è constato quando, per candidare qualcuno dei suoi siloviki (uomini degli apparati che Vladimir Putin usa per il suo potere) tipo Alessandro Ovi e Silvio Sircana, o lo sperduto Ricky Franco Levi, Romano Prodi ha dovuto fare una sceneggiata da Mosè e il vitello d'oro.
Il fatto è che se non hai un programma, un'idea chiara della funzione nazionale che vuoi esercitare, di come pensi di rappresentare le tue basi sociali, se lasci che quelli che erano uno dei tuoi riferimenti fondamentali, gli operai metalmeccanici, si riducano a rivoltosi imbizzarriti, anche per le colpe dei tuoi amichetti confindustriali, se questo è quel che succede, poi l'idea di rappattumare tutto nei «totalmente leali e convinti» vertici dell'Unione diventa impossibile. Anzi, tutto diventa sempre più difficile. Anche perché i partiti del centrosinistra diventano praterie in cui tutti si mettono a scorrazzare. I giornali fanno il loro mestiere e lo fanno come vogliono (anche se non è sbagliata l'osservazione sul Corriere della Sera fatta ieri da Cesare Romiti: quindici proprietari rendono la vita difficile a una linea editoriale convincente). Il loro tribunale sono i lettori. Questa è la libertà di stampa. Che, con buona pace dei Ds, vale anche per il Giornale. Ma in politica come in natura i vuoti si riempiono: e se Prodi non ha un'idea e neppure Fassino, è evidente che due giornali influenti come Corriere e Repubblica si affretteranno a fornire le loro ricette. Con effetti talvolta bizzarri: per mesi il quotidiano di via Solferino si era schiacciato su Rutelli: anzi il leader della Margherita era stato quasi reinventato da Paolo Mieli. Mentre Ezio Mauro era perso dietro ai Ds e Prodi. Ora invece le parti si scambiano: i giornalisti milanesi fanno peana imbarazzanti al Professore bolognese, con tanto di foto da grande timoniere. Mentre i «repubblicanisti» sposano lo bello guaglione.
Naturalmente vi sono anche giochi di potere dietro queste scelte.

Ma innanzi tutto svelano l'inconsistenza di una coalizione che ha un tremendo punto debole: l'incredibile, gigantesca ipocrisia sulla propria superiorità morale. Le accuse reciproche tra Margherita e ds di essere asserviti a interessi affaristici non confessati (accuse, in entrambi i casi, realistiche) sono solo la spia più evidente di questa realtà.

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