Il giornalismo percepito

I prezzi salgono perché i giornali scrivono che i prezzi salgono: teoria assurda ma avvalorata. Associazioni di consumatori e istituti vari, negli scorsi anni, hanno fornito raffiche di valutazioni discrezionali che attraverso la risonanza dei media hanno fomentato crescenti allarmismi sull’inflazione, con ciò contribuendo ad alimentarla. Traduzione: se in un dato momento si parla di inflazione al 30 per cento, è poi difficile che un commerciante non riveda i prezzi di conseguenza o che non si riservi di rincararli in futuro. In altre parole, l’effetto annuncio talvolta è bastato. Chi lo dice? Due studi seri. Uno è degli economisti Andrea Brandolini e Tito Boeri: hanno sostenuto che l’eccezionale copertura mediatica della questione prezzi possa aver contribuito al divario tra inflazione percepita e rilevata: ciò dopo aver notato come i giornali abbiano dato credito a stime alternative a quelle ufficiali, ma senza verificarne il rigore. Poi c’è uno studio curato da Paolo Del Giovane e Roberto Sabbatini per la Banca d’Italia: i due hanno esaminato migliaia di articoli caratterizzati da forte sensazionalismo e da critiche rivolte alle fonti ufficiali, tipo l’Istat.

Identici gli esiti: i giornali hanno enfatizzato oltremodo il contrasto tra le false percezioni e le statistiche ufficiali, ciò a dispetto dell’inflazione misurata e quindi vera. I commercianti si sono regolati. Noi abbiamo sborsato.

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