Il giorno nero dei mafiologi anti Cavaliere

Gli accusatori a mezzo stampa di Berlusconi costretti ad arrampicarsi sugli specchi dopo le smentite a Spatuzza "Repubblica" insinua: "Chi parla tace e chi tace parla". E intanto il pm di Palermo va a un comizio con Di Pietro

Il giorno nero dei mafiologi anti Cavaliere

nostro inviato a Palermo

La stampa internazionale, che aveva sbadigliato all’audizione di Spatuzza, si era già eclissata. Ma i mafiologi nostrani sono accorsi in massa a Palermo per il Graviano day. Avessero confermato, Filippo e Giuseppe, o avesse farfugliato qualcosa il più modesto Cosimo Lo Nigro, sarebbe stata festa grande. Ma doveva esserci un difetto nel timer, perché il botto non c’è stato. O forse nessuno l’ha sentito. È stato il giorno nero per gli esperti che da quindici anni ricamano sulle trame oscure che da Berlusconi portano a Dell’Utri e Dell’Utri ai meandri di Cosa nostra. Ma a tutto c’è rimedio, anche a una raffica di smentite e di contraddizioni. Il banchetto, già apparecchiato, è saltato. Pazienza. Spatuzza è affondato? Sì, ad una prima, semplicistica lettura. Ma i mafiologi sono abituati a ben altre, raffinate ricostruzioni e dunque eccoli pronti ad interpretare, a capovolgere, a ricondurre la realtà ai loro schemi.
È quel che ci spiega Attilio Bolzoni su Repubblica: «Chi parla tace. E chi tace parla». Dove siamo, in un dramma shakesperiano? No, ci spiega Bolzoni, siamo a Brancaccio, nel cuore dei misteri palermitani. E dunque il silenzio di Giuseppe Graviano va decodificato. Il suo fax, il fax che ha mandato alla corte d’appello per dire che sta male, va decrittato come tutti i messaggi in codice. Graviano tace, ma allude, si rivolge sicuramente a qualcuno, conduce a modo suo la danza. Graviano, per la cronaca, è quello che aveva detto a Spatuzza a gennaio ’94: «Abbiamo fatto l’accordo con Berlusconi e abbiamo in mano l’Italia». Pochi giorni dopo fu arrestato e da allora è murato all’ergastolo, con aggiunta di 41 bis. Non importa. Dettagli.
Giuseppe D’Avanzo prosegue, sempre su Repubblica, su questa linea: «Giuseppe Graviano a chi sta parlando obliquamente? Chi minaccia? Chi ricatta?» Gira e rigira, siamo sempre dalle parti del Cavaliere. Non lo si dice esplicitamente, ma chi volete che sia l’interlocutore del boss? Insomma, Graviano avrebbe anche potuto confermare le accuse di Spatuzza. Ma va bene lo stesso, la soluzione è double face. L’importante è vestirla e vestirla bene. Graviano non ha confessato, sarebbe stato troppo semplice, questa più o meno è la tesi, e dunque ricorre al silenzio come ad un abbraccio mortale. Doveva parlare del Cavaliere, tace del Cavaliere. Di passaggio, già che c’è, D’Avanzo ci ricorda Mangano, lo stalliere, e la sua permanenza ad Arcore. La coperta è corta e nel giorno della disfatta la si tira come si può, riciclando tuto quello che è già stato scritto e sviscerato qualche migliaio di volte. D’Avanzo fa di più: ci presenta Graviano e il Cavaliere come due gemelli che hanno attraversato il processo Dell’Utri senza dire una parola. Siamo sempre al teorema. Il fatto che Spatuzza sia stato smentito da tutte le parti non significa granché. Il fatto che non ci sia alcun riscontro a quel che ha detto nemmeno. E nemmeno interessa che nessuno ci abbia chiarito il legame fra Berlusconi e le bombe. Ma quali poi? Quelle del ’93? Quelle del ’92? Tutte, come virgolettava sabato scorso con sobrietà, Repubblica?
Qualsiasi cosa accada, dev’essere sempre il Cavaliere a spiegare. D’Avanzo ce lo aveva già anticipato: dev’essere il Cavaliere a chiarire. È lui che deve svelarci una volta per tutte i rapporti con i Graviano, anche se non ci sono, le origini delle sue fortune, i passaggi dei boss latitanti ad Arcore e, avanti di questo passo, chi era suo padre, che non dimentichiamo lavorava alla banca Rasini, e magari pure suo nonno.
Ed è sempre Repubblica ad illuminarci, non è colpa dei mafiologi, degli esegeti di Cosa nostra, se il Procuratore generale Antonino Gatto era inadeguato, l’inchiesta slabbrata, la conduzione del processo Dell’Utri avventurosa. Ci sarà un’altra occasione per riscattare le sorti dell’antimafia militante.
E poi chi l’ha detto che Spatuzza sia stato smentito? Calma, è ancora tutto da vedere, la situazione è in evoluzione, le Procure di mezza Italia un cantiere che sforna verbali. Il pg Gatto, in un’intervista al Messaggero, ci spiega acutamente che una valutazione seria si «potrà fare solo alla fine».
La stampa di lingua inglese si è data, quella italiana è passata per le forche caudine del Graviano day, ma non è un gran problema. Francesco La Licata sulla Stampa ci informa che «l’aspettativa era soprattutto mediatica».
Un’ammaccatura e avanti, in attesa del prossimo pentito. O del prossimo colpo di scena. «Il ricattatorio dialogo», come lo chiama la Repubblica va avanti. Nel mirino, nel Paese del sospetto, resta sempre il presidente del Consiglio. E Palermo volta pagina, rapidamente.

Il pm Nino Di Matteo interviene ad una manifestazione promossa dall’europarlamentare dell’Italia dei valori Sonia Alfano e polemizza con il Guardasigilli che aveva invitato i magistrati a frequentare meno i salotti televisivi: «Vorrei rassicurare il ministro Alfano - afferma davanti ad Antonio Di Pietro - che il nostro lavoro non si ferma e credo che lo Stato debba andare in fondo nelle inchieste che riguardano le stragi perché altrimenti per quanti latitanti possiamo arrestare, a Cosa nostra resterebbe in mano l’arma più forte, quella del ricatto».

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