Agrigento - Almeno per Riccardo Riccò il problema della monnezza non esiste: lui ad Agrigento un cassonetto per gettarci dentro tutta la malasorte che si è portato dietro fina dall’inizio dell’anno l’ha trovato. «Non ce la facevo più: cadute a ripetizione, poi anche l’influenza. In un sol colpo mi sono perso la Tirreno, la Sanremo e poi le classiche del Nord. Questa vittoria ci voleva», dice il modenese di Formigine. Riccardo Riccò, fisico minuto e occhi svelti come la sua parlata emiliana. Dote: scalare le montagne con facilità. Segno particolare: non temere nessuno, solo la malasorte. Sogno: vincere il Giro d’Italia. «Volevo dare il primo segnale - dice la grande speranza del ciclismo italiano -. E dire che a un certo punto mi sono ritrovato ancora una volta con il sedere per terra. Anziché demoralizzarmi mi sono girati ancora di più gli zebedei. Nel finale i miei compagni di squadra sono stati fantastici: bravo Benitez, bravissimo Piepoli. Io? Super: battere su un traguardo così gente come Di Luca e Rebellin non è facile ed è segno di buona condizione».
A proposito, come sta?
«Bene, ma non sono al top. Per vedere il vero Riccò ci vuole ancora qualche giorno. A proposito, aspettatemi a Pescocostanzo».
Ma lo sa che il Giro nell’ultima settimana è semplicemente micidiale?
«Certo, e sono prontissimo per la sfida. La tappa clou? La quindicesima, quella di Arabba che termina sulla Marmolada. Occhio però anche alla tappa del giorno prima, quella di Pampeago e quella del giorno dopo, la cronoscalata di Plan de Corones: tre giorni che decideranno il Giro».
Chi è oggi l’uomo da battere?
«Di Luca».
Felice?
«Sì, per la mia vittoria, per la vittoria della Ferrari e di Massa, e per
Nel gruppo come va? Dicono che non abbia troppi amici…
«Quando metto il numero sulla schiena non sono amico di nessuno».
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