Giustizia bordello, i pm di Ruby straparlano

Milano«Oramai li hanno chiusi!», diceva Totò a Peppino De Filippo in uno strepitoso classico della commedia all’italiana, «Arrangiatevi!», dedicato a quelle che all’epoca, pudicamente, si chiamavano «case chiuse». Ma i pm di Milano non hanno pudori. Neanche nella forma, visto che in un’aula di tribunale, di fronte al Gup, nel corso di un’udienza preliminare a porte chiuse sì ma non tanto, hanno pronunciato una parolina magica, «bordello», che ha avuto l’effetto boomerang di una sentenza già scritta nei confronti di Lele Mora, Emilio Fede, Nicole Minetti (accusati di induzione alla prostituzione) e, soprattutto del Cavaliere, l’imputato ombra di questo processo parallelo sul caso Ruby. «Bordello», et voilà, con tante scuse per una volgarità che ci permettiamo solo per dovere di cronaca. «Bordello», sede sottintesa ma neanche troppo Arcore, la villa del Cav dove si svolgevano le feste, che per l’accusa sono i festini. «Bordello», anzi, un «sistema congeniato e non occasionale per compiacere il premier attraverso la mercificazione della fisicità della donna e la mortificazione dell’identità femminile».
La parolina magica non è piaciuta a tanti, specie nel Pdl. Tanto che ieri in serata, dopo che il «bordello» di Arcore col copyright dei pm meneghini ha spopolato in tv e su internet, il procuratore aggiunto Pietro Forno ha sentito il bisogno di aggiustare il tiro: «Non ho mai detto che Arcore era un bordello – ha dettato il pm alle agenzie – il termine bordello è stato utilizzato come riferimento storico alla divisione dei compiti prevista dalla legge Merlin che, come noto, prevedeva la soppressione delle case chiuse». Sì, perché nella sceneggiatura del film dal finale annunciato – la richiesta di rinvio a giudizio per Mora, Fede e la Minetti – illustrato in una quarantina di minuti dai pm Forno e Antonio Sangermano, i vari protagonisti hanno un ruolo: il consigliere regionale Nicole Minetti è «l’amministratrice di un bordello», l’addetta alla logistica «di un sistema strutturato per fornire ragazze disponibili a prostituirsi», la «sora Gina», direbbero Totò e Peppino; Mora invece fa la parte dell’«arruolatore»; Fede, invece, indossa i panni del fidelizzatore, l’esperto che doveva valutare le ragazze, la loro disponibilità a fare sesso. Sullo sfondo, Ruby, la vulcanica Karima El Mahroug. Sulla giovane marocchina, che farà sapere il prossimo 9 luglio se intende o meno costituirsi parte civile, il pm Forno ha messo le mani avanti: la sua testimonianza «va valutata tenendo conto della sua giovane età».
Spazio anche alle comparse, in questo film dei pm milanesi dal finale già scritto. Un cameo a parte, nel ruolo di eroina buona traviata ma pronta al riscatto, se l’è ritagliato Chiara Danese, la giovane miss piemontese che nei mesi scorsi si è presentata spontaneamente ai pm con un’altra miss Piemonte, Ambra Battilana, per raccontare lo choc di una festa ad Arcore. Interpretazione superba, quella della diciannovenne, arrivata in tribunale mano nella mano con l’avvocato dell’amica, la senatrice di Idv Patrizia Bugnano. A cominciare dal look: volto acqua e sapone, occhialoni da vista, camicia rosa con rouches, jeans e cardigan bianco con lunghe maniche, e pazienza se l’afa a Milano ieri era, quello davvero sì, sconvolgente. Irriconoscibile rispetto agli scatti da miss. Vincente, visto che il gup ha detto sì alla richiesta di costituzione di parte civile avanzata dalle due ragazze per «il danno non patrimoniale costituito dalla profonda ed enorme sofferenza subita» per essere state considerate delle escort. Con buona pace del fatto che una delle due, Ambra Battilana, abbia ammesso in una denuncia svelata ieri dal Giornale, di avere fatto sesso in cambio di denaro per comprare abiti e gioielli per la mamma.
Allibito il legale del premier, l’avvocato Niccolò Ghedini: «Le dichiarazioni dei pm sono totalmente destituite di fondamento e in palese contrasto con la realtà ampiamente e puntualmente narrata da decine di persone che hanno affermato come mai siano avvenuti quei fatti. Si tratta di una ricostruzione erronea che non resisterà al vaglio di un giudice super partes».

«Precisazione penosa», manda a dire a Forno, a proposito del «bordello», il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto. Il film è appena iniziato. Prossime udienze l’11 e il 13 luglio. Sul finale niente scommesse. Troppo facile, vista l’antifona, indovinare il finale.

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