RomaTruppe, poche: secondo alcuni calcoli, i fedelissimi di Gianfry in Parlamento sono dieci-quindici al massimo. Ma anche se An si è sfarinata nel grande silos del Pdl, se pure il popolo della destra non segue più di tanto il suo capo, sulla giustizia Fini non sembra intenzionato ad arrendersi al Cav. Non subito, almeno. Basta sentire quello che dice a Pescara, parlando al premio Borsellino: «Le istituzioni, e quindi tutta la politica, devono essere come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto». E basta ascoltare come affronta il problema della legalità: «Non si può dire ai giovani di avere fiducia nello Stato e nelle sue leggi, di impegnarsi nel nome dei valori della giustizia soltanto a parole. Alle nobili intenzioni devono seguire comportamenti coerenti».
Il presidente della Camera parla genericamente di lotta alla mafia, ma lallusione ai processi di Silvio Berlusconi è trasparente. Del resto il premier ormai ne ha fatta una questione di principio: le toghe rosse, spiega, mi tartassano da quasi ventanni, la magistratura è diventata un superpotere, senza scudi nessun premier può riuscire a governare. Per questo il Cavaliere ha deciso di accelerare sulla riforma della giustizia e di tirare una riga nella maggioranza. Al momento delle scelte, vuole sapere chi sta con lui, chi contro e chi fa il pesce in barile. A Palazzo Grazioli starebbero lavorando a un documento formale che certifichi la «ventennale persecuzione» dei giudici e impegni i parlamentari del Pdl a firmare la legge sulla «prescrizione di fase» che gli esperti stanno preparando. Una norma di iniziativa parlamentare, che verrà presentata al Senato da Lucio Malan. Il meccanismo ideato da Ghedini è questo: una prescrizione del processo, anziché del reato, che sarà scandito in tre fasi, ciascuna di due anni.
Il presidente del Consiglio forse spera di pescare qualcosa, almeno in termini di non ostilità, pure fuori dal recinto della maggioranza: il faccia a faccia «da vecchi amici» con Pier Ferdinando Casini e il lancio della candidatura di Massimo DAlema come ministro degli Esteri europeo sono due indizi significativi. Sentite infatti un dalemiano doc come Nicola Latorre: «In materia di riforme ci sono diversi punti dintesa con la maggioranza sulla giustizia. Il problema centrale è mettere questa al servizio del cittadino. La responsabilità civile dei giudici? È un punto che va affermato».
In calce al papello, Berlusconi si aspetta comunque di leggere le firme di Fini e Bossi, con i quali, dicono, è ormai ai ferri corti. Lalternativa a questa soluzione - ipotetica, fantapolitica - è quella di tornare alle urne. Ma qui bisogna fare i conti con il Quirinale. Il presidente della Camera intanto prende tempo. Sul principio, si dice «daccordissimo» con il Cavaliere. La riforma sulla giustizia, spiega ai suoi, non è solo necessaria, ma urgente, compresa la separazione delle carriere tra pm e giudici. Fini non è ostile nemmeno a un intervento legislativo per ripristinare gli effetti del lodo Alfano, caduti dopo la bocciatura della Corte Costituzionale. Ma non vuole «leggine ad personam» e neanche prescrizioni troppo generiche che provocherebbero problemi a molti processi di mafia in corso. La controproposta? Un «confronto aperto» su tutti i capitoli della giustizia, da allargare possibilmente allopposizione, evitando altri sanguinosi scontri con il Colle.
Margini dintesa? Si vedrà nei prossimi giorni, visto che la partita è in qualche modo intrecciata alle candidature per le regionali e al riannusamento tra Berlusconi e Casini. Fini ha pochi colonnelli e ancor meno soldati, intanto però può registrare delle significative consonanze esterne. Innanzitutto con il Quirinale. «Le riforme sulla giustizia - scrive il capo dello Stato in un messaggio allAnm - non devono essere né occasionali né di corto respiro». I magistrati però, aggiunge Giorgio Napolitano, devono smetterla di mettersi sempre e comunque di traverso: «Sono convinto che lassociazione debba guardare a tutti gli aspetti della crisi del sistema giustizia offrendo con rigore, con misura e senza scendere sul terreno dello scontro, la sua disponibilità a concreti contributi propositivi, come un interlocutore credibile e attento, sempre aperto al dialogo e allascolto». Il presidente della Repubblica chiude il suo intervento «auspicando il rispetto reciproco e la leale collaborazione tra le istituzioni». Lapertura di Napolitano viene subito raccolta da Renato Schifani: «Condivido pienamente le parole del capo dello Stato. Nessun disegno di riforma costituzionale ha mai messo in dubbio lautonomia della magistratura».
Unaltra sponda Fini la trova nel leader centrista. «Ci siederemo al tavolo per la riforma della giustizia - dice Pieferdinando Casini - Siamo pronti ad accettare il dialogo, ma in Parlamento, alla luce del sole». I pontieri sono al lavoro.
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