«Giusto legare lo stipendio alla produttività»

Angeletti, adesso che si è creata l’impasse a Mirafiori, si è pentito di aver firmato l’accordo per Pomigliano?
«Pentito? - ribatte il segretario generale Uil, Luigi Angeletti -. Sta scherzando? Stiamo cercando di salvare lo stabilimento di Mirafiori».
Ma Marchionne vi sta mettendo in difficoltà.
«Marchionne fa il suo lavoro, che è definire quali sono per lui le regole con cui fare gli investimenti in Italia. Anche noi vogliamo che gli investimenti vengano fatti in Italia: è questo il vero tema della trattativa. Stiamo discutendo proprio su quali sono le condizioni. Non è una cosa nè simbolica nè politica. Questa è una trattativa pura».
In che senso?
«Ci sono interessi diversi in gioco, ognuno cerca di difendere i propri. L’investimento è l’interesse di tutti, non c’è alternativa a un accordo, prima o poi troveremo un punto di equilibrio».
Prima o poi?
«Occorrerà più tempo del previsto. Non firmeremo questa settimana».
Nuoce la divisione del sindacato?
«Quale divisione? La Fiom fa una finta trattativa, un teatro per esprimere opinioni senza volere un accordo. Uil e Cisl sono insieme e fanno sul serio».
Si rafforza l’idea che il modello di salario debba contenere una parte fissa e una variabile, e che i lavoratori vadano coinvolti nelle strategie d’impresa. É la via da percorrere?
«In parte tutto questo è già stato definito. Nel senso che il nuovo modello, al secondo livello della contrattazione, già prevede aumenti collegati all’andamento dell’impresa, al suo buon funzionamento. Il governo in questo ci ha dato una mano significativa, riducendo di un terzo le tasse che gravano sulla parte variabile, quella legata all’andamento dei conti».
Questo rappresenta il presente o il futuro?
«É ciò che accadrà nel Paese nei prossimi 10, 20 anni».
Che cosa dice delle tensioni Fiat-Confindustria?
«Vede, è una questione di regole, di regole contrattuali. Un’impresa grande, una vera multinazionale come la Fiat ambisce a proprie regole ed è ovvio che stabilisca una dialettica con gli altri generatori di regole. Il nostro contratto collettivo, con due livelli di contrattazione, è un unicum, da nessuna parte esistono due atti diversi. Nel resto del mondo non ci capiscono proprio».
Quindi è anacronistico?
«No, è in funzione di un Paese nel quale ci sono centinaia di migliaia di piccole imprese che hanno bisogno di un contratto compatibile con le proprie esigenze. Per loro sarebbe assurdo rinegoziare in proprio, ma è normale che lo faccia una grande impresa, che ha necessità diverse e risorse per darsi regole sue. In altre parole, il sistema contrattuale è lo specchio del Paese».
Negli Stati Uniti c’è un sindacato solo; dovrebbe essere così anche da noi?
«Hanno un modello sindacale più complesso, è un’altra storia. Ma le rispondo con una domanda: in Italia è meglio avere una decina di partiti o sarebbe meglio averne solo due?».


E la sua risposta qual è?
«La prospettiva di un sindacato unico in Italia è del tutto improbabile. Quanto alla politica, penso che il sistema deve essere innanzitutto governabile. Talvolta ci dimentichiamo che la democrazia è un metodo per prendere decisioni».

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