Il golf italiano all’esame Open con Montgomerie e Daly

Ci siamo. Domani sul percorso del Royal Park I Roveri prende il via il Bmw Italian Open, 66ª edizione del massimo torneo professionistico del nostro golf poco più che centenario. È la seconda volta che Torino è la sede dell’Open, la prima che ha come scenario lo splendido percorso disegnato ad inizio anni Settanta dal grande architetto americano Robert Trent Jones su mandato del fondatore del club Umberto Agnelli.
Che Open sarà? Sicuramente di livello e per più di una ragione. Il percorso è tra i più belli ed impegnativi nel panorama italiano. La «griglia di partenza» è senza dubbio la migliore vista negli ultimi anni da quando la Federazione ha stretto una joint venture con l’European Tour. In passato, parlo sino ad una decina di anni fa, quando il golf in Italia era ancora per pochi, c’era la smania e l’impegno di portare al torneo alcuni nomi di grande risalto, campioni che chiedevano «gettoni di presenza» sostanziosi e che, a ben pensarci, accontentavano e deliziavano il palato dei pochi maniaci e che compiacevano sponsor ancora poco esperti di golf. Erano anche i tempi in cui il golf europeo sfornava pochi «grandi» che facevano di certo cartellone in una schiera di giocatori di secondo piano. Negli anni il golf europeo è cresciuto, il livello generale si è elevato, i giovani hanno affinato le loro armi e sono diventati competitivi ed anche - molti di loro - dotati di buon carisma ed in grado di fare spettacolo. Quest’anno ai nastri del Bmw Italian Open c’è gente di gran prestigio come Colin Montgomerie e quel John Daly che, malgrado la sua vita sregolata, ha vinto un Open Championship ed un Pga in America e sempre e comunque in grado di far divertire e stupire per la sua potenza e la sua qualità di gioco. Due «big» che una volta sarebbero costati una piccola fortuna e che oggi vengono a giocare da noi per il piacere di respirare l’atmosfera italiana, l’ospitalità, l’affabilità di una organizzazione all’altezza ed anche con la segreta speranza di vincere un titolo che esiste dal 1925. Accanto a loro c’è un Paul Lawrie vincitore di un British, Thomas Bjorn, capostipite del golf danese ed il suo più giovane emulo Anders Hansen vincitore di due Pga di Gran Bretagna ed anche un Darren Clarke irlandese vincitore di tornei di livello mondiale. Ma sono poi tanti i giocatori della nuova generazione, quelli che stanno facendo vivere all’European Tour un periodo particolarmente felice che nulla ha da invidiare al Tour americano. Ai Roveri scenderanno in campo 21 campioni di Open degli ultimi due anni, professionisti sulla cresta dell’onda che ormai, grazie anche alla televisione, sono noti a tutti i golfisti, non più ottusamente focalizzati sulle superstar ma che ormai sanno apprezzare e riconoscere i nuovi talenti e le future star. L’Open d’Italia non è un torneo super dotato dal punto di vista del montepremi, può - giustamente - non attirare più di tanto le cosiddette primedonne, ma negli anni recenti ha lanciato alla ribalta giocatori che oggi viaggiano a livelli mondiali. Siamo un Open «talent scout» ed anche questo è un merito di cui andare fieri.

Quest’anno poi è arrivato un nuovo title sponsor la Bmw che abbina il suo nome a tornei di livello mondiale e alla Ryder Cup. Anche questo è un traguardo tagliato ed una nuova spinta verso l’alto di un torneo che cresce di anno in anno e del quale il golf italiano può giustamente fare un fiore all’occhiello.

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