Stefano Fiore
Monza - Il destino spesso ci mette lo zampino, le combinazioni più incredibili si concatenano regalando risultati impensabili. «Pensate, torno a vincere vent'anni dopo, proprio a Monza. E proprio in compagnia di Gerhard Berger, che allora era mio pilota Ferrari e oggi è un mio compagno di lavoro e di avventure». Non trattiene l'emozione Giorgio Ascanelli, direttore tecnico di una Toro Rosso che da ieri non è più solo una cenerentola ma una bella realtà. «Infatti io penso solo al presente, perché il futuro (la scuderia è in vendita, ndr) non lo conosco. Gioiamo per i ragazzi del team, è un risarcimento per le loro sofferenze». Che comprendono non solo duro lavoro ma anche momenti in cui lo stipendio era una chimera.
Quando ancora la scuderia si chiamava Minardi e sulle monoposto di Faenza salivano piloti come Trulli, Fisichella, Alonso. In quei momenti solo chi possedeva la cultura del lavoro e la voglia di inseguire un sogno poteva tirare avanti. E, inevitabilmente, la testa va subito a una persona. «Giancarlo Minardi - confida Massimo Rivola, direttore sportivo -. Lui ci ha insegnato il valore delle cose. Noi siamo italiani, iscritti come squadra italiana. Senza l'apporto della Red Bull sarebbe difficile andare avanti, ma se un'azienda di 190 persone vince un Gran premio di Formula 1, vuol dire che il fondatore ha fatto qualcosa di grande».
Nella confusione dei festeggiamenti Rivola cerca di asciugarsi gli occhi dalle lacrime appena versate, ma il tentativo non gli riesce granché. È ancora gonfio di emozione: «Non siamo una sorpresa, abbiamo vinto comandando dall'inizio alla fine. La chiave è il Q3 di sabato dove abbiamo trovato un assetto che ci avrebbe consentito di lottare per la pole ma anche di essere veloci al via. Il resto lo hanno fatto i piloti: Vettel, ma anche Bourdais, che senza i problemi al via sarebbe potuto arrivare quarto».
Poi il gioco dei complimenti si arricchisce di un nuovo partecipante, nientemeno che il più giovane pilota a vincere un Gran Premio (record tolto a Fernando Alonso): nome Sebastian Vettel, segni particolari uomo del giorno. Con un sorriso largo così racconta: «Non potete immaginare quanto sia bello vincere, sono senza parole. E di questo devo ringraziare tutto il mio team, anche chi è rimasto a Faenza». E se il coro di ringraziamenti per il mondo che gira attorno alla Toro Rosso è d'obbligo, non lo è il rivelare la ricetta del successo. Ma Sebastian, preso da un'emozione così grande, può anche lasciarsi andare: «La verità è che abbiamo avuto le palle per vincere». Non un monumento alla finezza, ma il concetto è chiaro. «Sono stato favorito dalla partenza con la safety car, con campo libero davanti a me ho preso subito secondi decisivi su Kovalainen. Poi sono stato bravo a tirare e ho controllato solo negli ultimi giri».
Inevitabile la domanda sul paragone con Schumacher ma Vettel fa spallucce: «È ridicolo un giochino del genere, sono appena all'inizio. Il più vicino a Schumi è Alonso. Ma anche a lui mancano cinque mondiali per pareggiare...». Al proposito Rivola la pensa così: «Non so se sia il nuovo Schumacher ma come lui è un pilota che fa squadra. Pensate che ha imparato apposta l'italiano per noi». Una qualità, Vettel, se la trova anche da solo: «Non soffrirò la pressione, l'ho già incontrata nelle categorie minori. Mi ripresenterò a Singapore cercando ancora di andare a punti».
E se poi ci sarà l'occasione, perché non fare bis? Dopotutto a fine gara nel box della Toro Rosso è comparsa una foto gigante con lui che con la mano fa «marameo»: è un ragazzino, ma quando c'è da portare a casa una vittoria non ha molti riguardi a farsi beffe degli altri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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