Un grado in meno non fa male Bisogna solo rispettare la legge

L’Italia è sempre stata alle prese con il freddo. Ma un tempo ci sapeva convivere. Non pretendeva insomma di campare in inverno con la t-shirt. Tanto è vero che un generale zarista in vacanza nel nostro Paese diceva: «Nelle case qui da voi io sento freddo, a San Pietroburgo vedo il freddo». Oggi siamo come in quella San Pietroburgo, tronfia e opulenta che teneva nelle case temperature torride. Oggi noi il freddo lo rifiutiamo, cerchiamo di cancellarlo alzando il termostato a più non posso. Pretendiamo che sia il clima a piegarsi alle nostre necessità. Succede per il freddo in inverno, per il caldo in estate, quando si ricorre all’aria climatizzata a palla, per usare un termine moderno. Personalmente sono d’accordo con il nostro ministro dell’Ambiente. Chiedere a tutti noi un piccolo sforzo e diminuire la temperatura nelle nostre caldissime case lo trovo sensato. Non farà male a noi e aiuterà molto nella lotta contro l’inquinamento.
C’era un’Italia equilibrata che rendeva tiepide le case, che ricorreva all’utilizzo di stufette e scaldini elettrici. Era un’Italia saggia e morigerata. Da piccoli andavamo spesso vicino a Lucca in campagna a trovare i nostri cugini. In linea con quello che si dice dei lucchesi, noti per essere sparagnini, la villa veniva mantenuta a temperature rigorosamente tiepide. C’erano stufette di supporto, e se poi nel letto si voleva stare molto caldi si ricorreva al famoso «prete», uno scaldino elettrico che si infilava sotto le lenzuola prima di andare a dormire. Io ho ricordi bellissimi di quel periodo. In questa nuova modernità pensiamo che il caldo nella case sia meglio, ma ci sbagliamo. Queste temperature da laboratorio hanno solo l’effetto di stordirci, di darci un aspetto acceso e paonazzo. Tornare invece a quella misura antica non sarebbe affatto rovinoso per la famiglia contemporanea. Abbassare di un grado le nostre case non sarebbe una regressione al gelo. Anzi. La buona salute richiede temperature flessibili, senza considerare poi la bolletta a fine mese. Non mi sono mai perfettamente identificato con il nostro ministro dell’Ambiente. Ci sono temi su cui l’Italia potrebbe essere più aggressiva, potremmo essere molto più critici contro le teorie apocalittiche del riscaldamento globale che purtroppo prevalgono anche in Europa, ma sul «grado in meno» sono d’accordo: un cambiamento nei comportamenti di ognuno di noi potrebbbe ridurre il problema dello smog. Mi piace la concretezza che fino a ora ha caratterizzato la risposta della Moratti, e mi piace la ricetta della Prestigiacomo. Ridurre le emissioni di polveri sottili è una battaglia da sostenere con coraggio, con le nuove tecnologie, con incentivi per chi utilizza l’auto elettrica per i piccoli spostamenti.
È dalla fine della seconda guerra mondiale che l’uomo combatte contro l’inquinamento. Fino a qualche tempo fa, l’impero sovietico si scaldava ancora con la lignite, micidiale composto che negli anni ’60 e ’70 ha provocato le piogge acide in Cecoslovacchia e in Ungheria. E adesso? Dobbiamo fare i conti con le polveri sottili, non ci sono più le nuvole nere sopra di noi, ma un cielo plumbeo e grigio di piccoli punti, una strana ragnatela che appanna il sole. Una minaccia ancora più insidiosa. Londra, per quello smog da riscaldamento a carbone, imponeva ai gentiluomini di cambiarsi la camicia tre volte al giorno. Le polveri sottili emesse dalla benzina sono più discrete, non si vedono, ma entrano direttamente nei nostri polmoni.
Questa è un’era di nemici invisibili. Sono i più pericolosi, perché li sottovalutiamo.

Eppure qualche volta bastano tanti piccoli gesti, come quello di girare di mezzo centimetro una manopola, per ridare colore al cielo. Questo Paese, questa città, chiede un piccolo sacrificio ai suoi cittadini. Un sacrificio che non danneggerà nessuno.

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