Negli anni Cinquanta, dopo gli approfonditi studi critici di Dante Isella, Carlo Porta può essere classificato, senza alcun dubbio, tra i grandi poeti della letteratura italiana. In Italia, però, tutta la poesia dialettale ha sofferto di una tardiva considerazione e ciò soprattutto a causa delle complesse vicende storiche del nostro Paese. A Milano in particolare, nel periodo in cui visse il poeta, nato nel 1775 e scomparso a 46 anni il 5 gennaio 1821, si susseguirono le dominazioni francesi e austriache e la città e la classe intellettuale risentirono negativamente il contrastante clima politico. Il Porta era un poeta romantico, stava dalla parte degli umili, degli sconfitti, dei poveri. Volle dare voce al popolo, alla gente semplice del Verzee, del mercato, a coloro che subivano soprusi, in polemica con i nobili e con il clero, ma senza fare mancare nei suoi versi l'accento di un'ironia che contribuisce ad accentuare il tono di autenticità milanese. Gino Cervi, esperto di filologia romanza, ha curato la traduzione e il commento di Trenta Poesie di Carlo Porta pubblicate in un volume appena uscito da Hoepli e a cui sono allegati due Cd audio contenenti la lettura dei testi effettuata dal poeta e commediografo Sandro Bajini, tra i più apprezzati lettori di Porta.
Chi era, esattamente, Carlo Porta?
«Il Porta non è stato un poeta a tempo pieno. Il lavoro occupò gran parte della sua vita. Impiegato statale durante la prima dominazione austriaca, fu talmente apprezzato che quando nel 1797 i francesi crearono la Repubblica Cisalpina, trovò occupazione Venezia presso l'intendenza di finanza austriaca. Tornò a Milano nel 1799, dopo la sconfitta francese, ma per pochi mesi. La vittoria di Marengo e la seconda Repubblica Cisalpina, lo videro animatore presso il Teatro Patriottico. Successivamente ebbe l'incarico di sottocassiere dell'Ufficio di liquidazione del debito pubblico e nel 1814, quando gli austriaci ripresero il potere, fu promosso a cassiere generale».
Che tipo era?
«Un personaggio brillante, allegro come dimostra la sua esperienza teatrale di attore comico. Stendhal lo chiamava l'affascinante Carlino e Ugo Foscolo gli si era molto affezionato. Spesso suo ospite, quando dovette lasciare Milano gli scrisse una lettera colma di sincera nostalgia in cui ricorda l'abitazione del poeta, le sedie basse, le mele cotte, la sua piccola figlia Annetta... Tra gli amici Tommaso Grossi, alla sua morte scrisse in milanese parole sentite: È morto? Non posso proprio più vederlo?... Ci sono momenti che non mi sembra vero. Porta era quindi un uomo benvoluto, stimato, un gran lavoratore e che non amava la mondanità».
In che rapporti era con il Manzoni?
«Forse non si sono mai incontrati, ma l'autore dei Promessi Sposi lo stimava e alla morte del Porta scrisse a un amico che si trattava di una perdita enorme per la cultura italiana».
Nel volume da lei curato è stata fatta una scelta di 20 tra le circa duecento poesie del Porta. Quali criteri lhanno guidata?
«Abbiamo inteso riproporre alcune poesie che rispecchiano il mondo milanese del tempo, le tematiche care al Porta come i Desgrazzi de Giovannin Bongee, La Ninetta del Verze, e il Lament del Marchionn di gamb avert, poesie appartenenti a pieno diritto alla grande letteratura italiana. La prima riguarda la Milano che sta per liberarsi dall'arroganza francese, anche se poi arriveranno le angherie austro ungariche. Il povero Giovannino racconta che, tornando verso casa dal lavoro incontra sulle scale un superbo dragone francese che lo vuole tradire con la sua affascinante moglie e alle rimostranze del povero uomo risponde picchiandolo. La povera Nina è una pescivendola innamorata di un mascalzone che la sfrutta e la riduce in miseria costringendola a prostituirsi.
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