Fabrizio Cicchitto*
Come dimostra l'intervista dellonorevole Follini al Corriere della Sera, pubblicata venerdì scorso, anche dopo la precisazione di Giulio Tremonti, l'ipotesi di grande coalizione rimane un elemento di dibattito politico.
L'Italia è proprio uno strano Paese, oggi come ieri. Ricordiamo, infatti, che anche nel corso della Prima Repubblica, con un sistema elettorale del tutto proporzionale (e quindi diverso anche da quello già approvato dalla Camera che mantiene in piedi il bipolarismo perché prevede l'indicazione della coalizione, del suo programma, del suo leader), la vita politica era caratterizzata da un'oscillazione continua fra il consociativismo e la «guerra civile fredda».
In effetti, tranne una breve fase, quella del periodo '76-79, durante la prima Repubblica fu praticato una sorta di consociativismo strisciante che si è dipanato alternandosi a fasi caratterizzate da un durissimo scontro politico fra la maggioranza di centro e di centrosinistra e l'opposizione guidata dal Pci.
Sappiamo tutti com'è andata a finire. Proprio quando, con il crollo del muro di Berlino e del comunismo, vennero meno i due blocchi e quindi una delle ragioni di fondo della divisione politica del nostro Paese, il Pds di Occhetto e di Violante approfittò della intervenuta «rivoluzione giudiziaria» per contribuire alla distruzione dei cinque tradizionali partiti di governo.
Si è trattato di un'operazione straordinaria che è avvenuta solo in Italia, al limite di una rottura rivoluzionaria.
Da quella crisi acutissima è nata la seconda Repubblica, è derivato anche un nuovo sistema elettorale fondato su un intreccio tra maggioritario e proporzionale che ha sommato gli inconvenienti dell'uno e dell'altro modello. In ogni caso si è affermato un forte bipolarismo. Era ipotizzabile che questo bipolarismo si sarebbe fondato, come avviene negli altri Paesi occidentali, su una reciproca legittimazione dei due schieramenti in campo. Malgrado gli auspici, talora formulati anche dal Presidente della Repubblica, dal 1994 ad oggi questa legittimazione non è mai avvenuta e ciò per una responsabilità politica precisa. Infatti il Pds prima, i Ds poi, hanno sistematicamente demonizzato il centrodestra con particolare riferimento a Berlusconi e a Forza Italia. Ciò deriva dal fatto che, malgrado tutto, i Ds rimangono una forza anomala, «soi disant» socialdemocratica ma con un nocciolo duro che deriva dalle origini comuniste.
Questa demonizzazione non è stata puramente «culturale» o «politologica» ma si è fondata sull'intreccio perverso dell'uso politico della giustizia e l'utilizzazione dei mezzi di comunicazione di massa malgrado la «leggenda» che Berlusconi controllerebbe ben sei reti televisive (cosa di cui nessun telespettatore si sta accorgendo). Di fatto il Pds e i suoi alleati, dopo aver distrutto i partiti dell'area di centrosinistra della prima Repubblica, non hanno mai accettato che questo spazio politico sia stato coperto da una nuova atipica formazione politica qual è Forza Italia e da un leader estraneo all'establishment qual è Berlusconi. Ora questa situazione non è affatto cambiata nel corso di questa legislatura, anzi per certi aspetti si è accentuata.
Per di più questa sorta di «damnatio» riguarda non solo Berlusconi e il gruppo dirigente di Forza Italia, ma anche la sua base elettorale considerata rozza, incolta, volgare. C'è una sorta di razzismo politico-culturale che poi si esprime anche nella satira a senso unico, in alcuni film, nella «vulgata» dei mezzi di comunicazione.
Questo è il carattere anomalo e perverso della lotta politica in Italia quale concretamente si svolge. Qualche settore della maggioranza talora assume un atteggiamento olimpico e «bipartisan» perché non è stato direttamente investito da questo modo di far politica. Non appena, però, è avvenuto che qualche personalità della maggioranza - ci riferiamo ad esempio al Presidente Casini - ha ribadito la sua collocazione politica e ha sostenuto un provvedimento sgradito all'opposizione come la riforma della legge elettorale, è immediatamente avvenuto che la «demonizzazione» si è rivolta anche contro di essa. Questo carattere anomalo della lotta politica in Italia rende quindi impossibili ipotesi di grande coalizione. Ci permettiamo di aggiungere, però, che a nostro avviso, tranne che su un problema - la lotta al terrorismo - si tratta di una ipotesi impraticabile anche in una situazione fisiologica. L'esempio tedesco non fa testo perché si tratta di una situazione imposta dal bilanciamento delle forze in campo (bilanciamento che deriva dal fatto che l'Spd, essendo, diversamente dai Ds, un'autentica socialdemocrazia, rifiuta l'intesa di governo con il partito di Lafontaine e di Gys) e comunque sta andando incontro a molte difficoltà.
Anche in una situazione fisiologica, sulla politica estera, sulla politica economica, sulla politica scolastica, su quella infrastrutturale ecc., di soluzioni ne esistono due, una innovativa, l'altra conservatrice e su questo si dividono legittimamente le forze politiche. Usiamo non a caso i termini «innovazione» e «conservazione» perché siamo convinti che questa sia la distinzione autentica e che è entrata in crisi la tradizionale dicotomia fra destra e sinistra.
In questo quadro riteniamo che in Italia, diversamente dall'Inghilterra dove finora la posizione innovativa è stata rappresentata da Blair, al di là delle ragioni pregiudiziali da noi precedentemente indicate, la Casa delle Libertà, pur fra errori e contraddizioni, ha portato avanti sui vari problemi concreti posizioni riformiste e innovative e la sinistra sostiene posizioni conservatrici. Così è avvenuto, ad esempio, sulla riforma della scuola, delle pensioni, del mercato del lavoro.
Di conseguenza, per questo doppio ordine di ragioni, riteniamo impraticabile nel nostro Paese una politica di grande coalizione. Considerando la qualità e le caratteristiche di alcune delle forze in campo riteniamo invece sempre possibili, ma tutt'altro che positive, operazioni di carattere trasformistico.
* Vicecoordinatore di Forza Italia
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