Siamo al gran finale: Tom Cruise ha attraversato quasi due ore di pericoli che vanno ben oltre le sue precedenti missioni impossibili. E ora tiene tra le braccia sua figlia, dopo aver salvato la famiglia dall’invasione aliena. Alla reporter Susan Faludi, premio Pulitzer, famosa femminista di seconda generazione e opinion leader di grande seguito negli Stati Uniti, l’ultima scena de La guerra dei mondi, campione d’incassi del 2005 a firma Steven Spielberg, non è mai andata giù. Perché il film, come molti altri prodotti mediatici post 11 settembre, è uno degli esempi che convalidano la sorprendente quanto provocatoria teoria esposta dalla Faludi nel suo nuovo libro, The Terror Dream: Fear and Fantasy in Post-9/11 America, che sta suscitando un polverone negli Usa: la paura dell’attacco terrorista entro le mura domestiche americane ha annientato decenni di conquiste femministe. Per ripristinare in men che non si dica il modello dell’uomo «macho» e della femminuccia che da sola non può farcela.
«Nel film, Cruise è un padre divorziato e fannullone - spiega la Faludi - intellettualmente evirato dalla moglie, che cerca di recuperare il suo ruolo salvando una ragazzina. Lo stesso ruolo che ebbe John Wayne in Sentieri selvaggi, il classico di John Ford. È una fissazione bizzarra e sproporzionata: l’esaltazione della mascolinità americana nel bel mezzo di una crisi intergalattica, metafora dell’11 settembre».
Secondo il saggio Terror Dream, la paura del nemico invasore che tiene in pugno l’America dopo il crollo delle Torri ha segnato in questi anni la resurrezione dei ruoli sessuali tradizionali e il ritorno del modello anni Cinquanta John Wayne-Doris Day: maschio onnipotente e roccioso e femminucce in crinoline, virtuose ma del tutto vulnerabili, che badano al nido certe che qualcuno, là fuori, combatta per proteggerle. Tempo di cowboys, secondo la Faludi. Ma anche di samurai, cavalieri, principi, soldati, contadini, rozzi reporter e poliziotti reazionari, piloti pluridecorati e ovviamente coraggiosi pompieri. Il che significa la restaurazione del pensiero prefemminista e la cancellazione dalla faccia dell’America, almeno per un pezzo, delle donne sessualmente liberate, single e perfettamente in grado di badare a se stesse. Fine del modello Sex and the city, insomma?
Dopo l'attentato alle Torri - scrive la giornalista nel suo saggio - i media si sono scatenati e hanno mostrato di amare e incoraggiare le vedove che accettavano il loro «lavoro» perpetuo: devozione alla famiglia e alla memoria dei mariti scomparsi. Senza prendere troppo in mano la situazione. Lo Houston Chronicle titolò, ai tempi: «Non c’è posto per le vittime femministe nell’America post 9/11».
Nel libro la Faludi ricostruisce con risentimento l’atto d'accusa dei media contro quella che lei chiama «femocracy», ovvero la democrazia imposta dalle femmine, che avrebbe indebolito la spina dorsale del pensiero e dell’azione americani e la tendenza che stampa e tv avrebbero imposto in questi sei anni: le donne a casa a cuocere dolcetti e rimpiangere la loro indipendenza. I mariti là fuori a difendere matrimonio, maternità, virilità e memoria di una nazione.
Naturalmente contro il rigurgito neofemminista della Faludi si sono levate molte voci e tra le più accanite quella di una donna, il critico letterario più temuto del New York Times, Michiko Kakutani, che non concorda affatto con la sparizione del potere al femminile, né con il disgusto dei media nei confronti delle donne «liberate».
Secondo lei anzi la situazione dopo l’11 settembre sarebbe addirittura migliorata: Hillary Clinton in corsa per diventare il primo presidente degli Stati Uniti di sesso femminile nella storia, le nuove anchorman delle principali reti televisive americane Cbs e Abc, le nuove corrispondenti tv dall’Iraq e persino il l’eco del successo della serie Sex and the city in fondo mai svanito sono lì a dimostrarlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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