La diva del giornalismo di guerra, con elmetto ed inseparabile borsetta, sta per gettare la spugna. Basta massacri etnici, invasioni e catastrofe naturali, pane quotidiano di Christiane Amanpour. La stella della Cnn è pronta a fare il salto del fosso. Da giornalista d’assalto a conduttrice di «This week», il programma politico di punta della rete avversaria Abc. Ogni domenica l’aitante diva del giornalismo internazionale dovrebbe cimentarsi nel campo minato della politica americana. Quando si impegnava nelle dirette dai posti più disgraziati della terra era impareggiabile. Sguardo dritto nella telecamera, capelli corvini possibilmente al vento, zigomi pronunciati e labbra un po' meno carnose di Lilli Gruber, con un ditino di rossetto recuperato dalla borsetta da nonna Papera. La sua grande abilità era «sparare» parole come proiettili, che facevano più male di quelli veri.
Nell’arena di Washington, se firmerà il contratto di lusso per il Porta a Porta della Abc, rischia di fare il gladiatore alla Bruno Vespa. Non è la prima ad appendere il giubbotto anti proiettile al chiodo attratta dallo specchio per le allodole del talk show in pantofole fra politica e notizie domestiche. Christiane si è resa conto che la politica internazionale e le bombe non tirano più come un tempo. La mitica Cnn, costretta ai tagli come tutti i media, probabilmente piangerà lacrime di coccodrillo per la dipartita della «Chief international correspondent», che costa una fortuna.
Nata a Londra, con il papà iraniano, vive da piccola nella Persia dello Scià. Ad 11 anni torna a studiare in Inghilterra al Convento della Sacra Croce. La famiglia fugge dall’Iran con l’arrivo di Khomeini. Nel 1983 Christiane viene assunta alla Cnn. Con il crollo del Muro di Berlino inizia la sua ascesa, ma si fa veramente le ossa nella prima guerra del Golfo. Peter Arnett raccontava in diretta i bombardamenti americani dal tetto dell’hotel Rashid a Baghdad ed intanto lei studiava come spodestarlo. Per l’Amanpour l’apoteosi arriva con la guerra in Bosnia.
La leggenda vuole che pretendesse di caricare su un aereo dei caschi blu i fuoristrada blindati atterrando a Sarajevo sotto assedio. Alla fine arrivò in colonna via terra. Al mio disperato tentativo di fare autostop, per evitare i cecchini, non mi ha degnato neppure di uno sguardo da dietro il finestrino blindato. Quasi dieci anni dopo mi sono preso la rivincita vedendola entrare come una furia nello scassato hotel Intercontinental di Kabul. I talebani avevano da poco abbandonato la capitale, sotto i pesanti bombardamenti Usa. La star della Cnn era arrivata troppo tardi, addirittura dopo un pugno di giornalisti italiani.
A Sarajevo era talmente a favore dei bosniaci musulmani, che cominciò a beccarsi più di una critica. «Ci sono situazioni in cui non si può rimanere neutrali, perché farlo significa diventare complici» rispondeva attaccando. Nei Balcani cominciò ad annodare il suo filo doppio con l’amministrazione americana, preferibilmente democratica. A tal punto che nel 1998 sposò, a Bracciano, James Rubin, portavoce del Dipartimento di Stato nell’era Clinton. I serbi non la sopportavano fin da Sarajevo. Quando Belgrado finì sotto le bombe aprirono le porte per la Cnn ad Alessio Vinci.
Peperina di carattere, nelle sue interviste famose ricorda un po' l’aggressività di Oriana Fallaci. Indimenticabile nel 2002 la telefonata in diretta con Yasser Arafat, asserragliato nella Muqata a Ramallah, che ad un certo punto si incavola e le sbatte giù la cornetta.
La diva del giornalismo di guerra è rimasta in auge, ma l’11 settembre cambia tutto. Al Qaida in Iraq ed i talebani in Afghanistan farebbero di tutto per metterle le mani addosso trasformandola nell’ostaggio più famoso del mondo. Negli ultimi anni le guerre diventano sempre più difficili da coprire. Il giornalismo embedded va troppo stretto alla star della Cnn, che non ha più lo smalto di un tempo.
Travolta da onnipotenza giornalistica lancia nello scorso settembre una striscia sui fatti del giorno con il suo nome: «Amanpour». Non basta e allora la stella del giornalismo è pronta a riciclarsi nell’arena televisiva della politica americana. Speriamo almeno che non diventi una Santoro a stelle e strisce.
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