Cultura e Spettacoli

Guerritore, la donna giusta che salvò migliaia di ebrei

Quasi finita la nuova fiction «Exodus» che racconta la storia di Ada Sereni: nel ’45 aiutò 25.000 persone a raggiungere Israele

Paolo Scotti

da Roma

La banalità del bene. Ovvero: quando essere eroi significa semplicemente seguire la voce della propria coscienza. «Ada non era un’eroina. O meglio: lo divenne solo perché si comportò da persona giusta». Splendida in un elegantissimo abito da sposa anni Trenta, la sigaretta fra le labbra, i tecnici che le girano attorno per sistemarle l’acconciatura, Monica Guerritore si riposa sui gradini in marmo della sinagoga di Roma. È solo la terza volta in vent’anni che il tempio maggiore di Roma concede ad una troupe cinematografica di effettuare delle riprese al proprio interno. L’onore tocca in queste settimane a Exodus, la nuova fiction prodotta dalla Rai e da Mario Rossini, «che è stata accolta a braccia aperte dalla comunità ebraica - come fa notare il suo regista Gianluigi Calderone - perché narra una storia vera che sta a cuore a tutti gli ebrei della capitale».
L’Ada in abito da sposa e dal dolente volto della Guerritore è Ada Sereni, l’ebrea che nel ’27 a Roma sposò Enzo, con lui nel 1927 si trasferì in Palestina per fondare un kibbutz e quindi, tornata nel ’45 in Italia per rintracciare il marito che nel frattempo era entrato a far parte della Resistenza ed era misteriosamente sparito, si impegnò in una vasta attività d’aiuto nei confronti degli ebrei che, appena terminato il conflitto, decidevano di emigrare in Israele nonostante l’ostracismo dell’Inghilterra. «Con una forza incrollabile, nonostante l’aspetto minuto, con un coraggio da leone, nonostante la relativa inesperienza in queste faccende, Ada Sereni riuscì a far partire dall’Italia, grazie all’organizzazione clandestina Aliàh Bet, attraverso sofferte e penose odissee da tutta Europa, ben 25mila persone - racconta Monica Guerritore - ma non fu e non si comportò mai da eroina. Anche lei, come Perlasca o Palatucci, o tanti altri dei quali magari non sapremo mai neppure il nome, seguì semplicemente l’imperativo morale che le ingiungeva di aiutare gli altri. Anche la sua storia è riaffiorata solo da pochi anni, grazie al libro autobiografico I clandestini del mare, da cui è tratta la sceneggiatura firmata dal grande Nicola Badalucco e grazie alla quale ora la sua vicenda diverrà nota al grande pubblico».
L’interesse di Exodus (titolo che potrebbe anche cambiare: «Non vogliamo confusioni - spiega il regista - con l’omonimo film americano interpretato da Paul Newman») risiede in quelli che lo stesso Calderone definisce «diversi temi». La storia personale di Ada Sereni e del suo amore per il marito Enzo (Thomas Trabacchi); la disputa filosofica che lo stesso Enzo, nel frattempo tenuto prigioniero dal nazista Aschenbach, intavola col suo carceriere sul tema del fascismo e della libertà. Infine l’avventuroso viaggio che Ada riesce a far intraprendere ad alcune figure-simbolo dei profughi ebrei di quegli anni: dal sopravvissuto al campo di sterminio che non sa reggere ai ricordi e si suicida (Fabio Camilli), all’ebrea che vive nel tormento di non essere riuscita a salvare dai forni il proprio bambino (Loredana Cannata).
C’è poi da osservare che, tra le infinite storie ispirate all’apocalisse della Shoah, questa «ha l’originalità di essere coniugata tutta sul versante della speranza - osserva il regista -.

La storia di questi ebrei, infatti, è la storia di un sogno da realizzare; la resurrezione che può seguire al più basso punto di abbrutimento morale che si possa toccare».

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