Gian Micalessin
Un passo indietro Hamas lha già fatto. Da ieri i suoi tremila miliziani sono scomparsi dalle strade della Striscia di Gaza. Ma Abu Mazen sa di non poter ancora cantare vittoria. La ritirata dei pretoriani fondamentalisti è solo la prima, immediata conseguenza dellasso di picche calato dal presidente che giovedì ha annunciato un referendum sul piano congiunto preparato in carcere dal leader di Fatah Marwan Barghouti e da alcuni deputati fondamentalisti. Il piano, accettando la soluzione dei due Stati e spingendo implicitamente al riconoscimento dIsraele, mette in grosso imbarazzo Hamas che deve decidere se ricusare le decisioni dei propri prigionieri o rischiare una plateale sconfitta referendaria. La scomparsa dei suoi miliziani dalle strade è dunque solo una mossa tattica decisa per prender tempo.
A farlo capire ci pensa il primo ministro Ismail Hanyeh. Dopo aver presenziato alla preghiera del venerdì in una moschea di Gaza, il premier simpegna apertamente a non cedere alle pressioni presidenziali. «Non faremo alcuna concessione politica anche se chi ci assedia non sogna altro», promette il leader dellAutorità Palestinese rivolgendosi ai fedeli. Nel frattempo i responsabili del movimento chiariscono che il ritiro della milizia dalle strade è soltanto un riposizionamento e non uno scioglimento definitivo. «Abbiamo ricevuto ordine di abbandonare le posizioni allaperto e di concentrarci in certe località per essere pronti ad intervenire dove si crei una situazione di caos», sottolinea Youssef al Zahair, uno dei comandanti dellunità.
La palla a questo punto è di nuovo nel campo del presidente. Ritirati i suoi uomini e disinnescato provvisoriamente il rischio di una guerra civile con i miliziani di Fatah - dopo due settimane di scontri costati una decina di vittime - Hamas può concedersi il lusso di attendere le mosse presidenziali. Per imporre il referendum Abu Mazen dovrebbe ricorrere ad un decreto di discutibile legittimità costituzionale riaprendo lo scontro con lesecutivo fondamentalista. La mossa comporta rischi e conseguenze difficilmente calcolabili. A renderla ancor più difficile e sofferta contribuisce il nuovo duro colpo inferto al prestigio interno di Abu Mazen dallannuncio israeliano di unimminente fornitura di armi alla guardia presidenziale. Il bacio avvelenato porta la firma di Amos Gilad, un alto funzionario del ministero della Difesa israeliano. Secondo il funzionario la fornitura, approvata dal primo ministro Ehud Olmert e dal ministro della Difesa Amir Peretz, verrà consegnata al valico di Rafah tramite un Paese terzo e permetterà al presidente di fronteggiare Hamas e portare avanti «le sue coraggiose decisioni». Quel messaggio rischia di trasformarsi - a livello di opinione pubblica palestinese - in unaccusa di tradimento o di collaborazionismo. Così, mentre i funzionari israeliani continuano, stranamente, a ufficializzare la notizia, il presidente palestinese la smentisce con tutte le forze. «Non posso rivelare lesatto ammontare della fornitura, è semplicemente un quantitativo limitato di armi e munizioni per permettere al presidente di difendersi mentre si assume lonere di decisioni importanti», spiega Amos Gilad. Per molti osservatori il bacio avvelenato è linevitabile reazione ad una richiesta di referendum che - pur mettendo in difficoltà Hamas e costringendolo al riconoscimento dIsraele - finirebbe con il legittimarlo internazionalmente trasformandolo in uno sgradito partner negoziale. Sempre sul fronte israeliano fa intanto discutere la proposta dellex capo del Mossad Ephraym Halevy di negoziare con Hamas la tregua di lunga durata più volte proposta dalla stessa organizzazione.
I bombardamenti dellartiglieria israeliana sul nord della Striscia di Gaza per impedire il lancio di missili Qassam hanno intanto causato la morte di quattro civili palestinesi. Un contadino è morto nella mattinata di ieri. Poche ore dopo un uomo e i suoi due figli sono stati uccisi dalla granata che ha centrato il loro appartamento.
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