Mazzini lo considerava il maggiore talento artistico della sua epoca, noi lo apprezziamo soprattutto per un suo famosissimo dipinto, Il bacio, diventato nel corso del tempo l'emblema dell'amore romantico, il corrispettivo in pittura della celebre foto tra il marinaio e l'infermiera scattata a Times Square a New York da Alfred Eisenstaedt. E un po' come quello scatto, anche Il bacio di Francesco Hayez (1791-1882) celebra la fine di una guerra e l'inizio di una stagione felice: l'artista lo presentò infatti nel 1859 a Brera nell'ambito di una mostra che festeggiava la liberazione della Lombardia dal dominio austriaco, con lunificazione della Penisola ormai alle porte. Il dipinto divenne quasi subito popolarissimo, e non stupisce che Hayez, natali veneziani ma meneghino d'adozione (insegnò anche all'Accademia di Brera), si affrettò subito a farne altre versioni (non altrettanto riuscite, bisogna ammettere). Di proprietà della Pinacoteca di Brera fin dal 1886, Il bacio è oggi il fulcro di una mostra voluta da Sandrina Bandera, direttrice della Pinacoteca e soprintendente per i Beni storici artistici di Milano, per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia. In «Hayez nella Milano di Manzoni e Verdi» (da domani fino al 25 settembre, catalogo Skira, dalle 8.30 alle 19.15, www.brera.beniculturali.it), i dipinti dell'artista evocano una delle stagioni più vivaci di Milano, quella romantico-risorgimentale, quando il capoluogo era capitale dell'editoria, centro propulsivo della cultura artistica del Bel Paese e feconda culla del melodramma italiano.
Quel «bacio» - che piacque tanto a Mazzini perché veniva interpretato come l'addio del giovane volontario alla sua amata nonostante il pittore, con il sottotitolo «Episodio della giovinezza», avesse piuttosto voluto indicare l'energia delle nuove generazioni che combattevano per la libertà - non è l'unico capolavoro di Hayez esposto nella mostra a Brera. I dipinti scelti dai curatori Fernando Mazzocca, massimo studioso del pittore, e Isabella Marelli, conservatrice della Pinacoteca, sono quelli che testimoniano maggiormente i suoi legami con Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi. Un trittico, quello composto dallo scrittore, dal pittore e dal compositore, che testimonia un clima culturale denso di creatività, di fermento, di innovazione. Romantico, nel senso storico del termine (e non sentimentale, come certa critica fino ad oggi aveva considerato, sottovalutandola, la parabola artistica di Francesco Hayez). Ecco allora in mostra una serie di quadri ispirati a grandi personaggi manzoniani, come il Conte di Carmagnola o il Ritratto dell'Innominato dei Promessi Sposi, e anche il celebre ritratto di Manzoni del 1841, dove lo scrittore è immortalato, capigliatura scarmigliata, con in mano la tabacchiera.
Dopo le tele di argomento «manzoniano», una serie di dipinti documenta lo stretto legame tra Hayez e Giuseppe Verdi: il compositore era solito avvalersi della consulenza dell'artista per la messinscena teatrale delle sue opere e lo stesso pittore dipinse molti temi messi in musica dal maestro di Busseto. Tra i lavori esposti in questa sezione, il più significativo è senza dubbio quello de I vespri siciliani, un dipinto di grandi dimensioni in prestito eccezionale dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. È poi azzeccata, oltre che piacevole, l'idea dei curatori di accompagnare la visione dei quadri romantici di Hayez con una colonna sonora composta dalle arie più celebri delle opere verdiane da cui sono stati ispirati.
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