Hina, il giallo si riapre. Anzi raddoppia

Interprete capta la frase della donna. Tarquini: «Parole pesanti»

Andrea Acquarone

Si è litigato persino sulla sepoltura. E oggi a quasi tre mesi dalla sua fine orrenda, e quattro persone finite in carcere, Hina giace in una cella anonima d’obitorio. Come una sconosciuta qualunque, come se a quel corpo si dovesse dare ancora un nome. Non è così, succede per colpa di querelle giuridica che si aggiunge a una tragedia senza fine. Ma che il senno di poi fa apparire ora come il frutto velenoso di una macabra nemesi: forse quella bella ventenne pachistana uccisa solo perché voleva vivere all’occidentale troverà «riposo» quando, finalmente, tutti i suoi assassini saranno presi.
È di queste ore la clamorosa notizia che tracce di materiale organico di una persona diversa dalle quattro già arrestate per il delitto - ovvero il padre della ragazza, lo zio materno e due cognati - sarebbero state trovate, dopo l’ennesimo accertamento clinico, sotto le unghie della vittima. Il che tradotto vuol dire che qualcuno, forse l’ennesimo complice di questo fanatico omicidio, potrebbe mancare tuttora all’appello.
Suonano dunque ancor più equivoche, per non dire sinistre, le parole che Bushra Begun, la quarantaseienne mamma di Hina, avrebbe pronunciato davanti ai giornalisti un paio di mesi fa senza immaginare che qualcuno le stava registrando attentamente. Era il fidanzato italiano della ragazza, Giuseppe Tempini, 33 anni, operaio, ad ascoltare sospettoso. Più degli altri: «Dillo tu, però non dire che il piano è stato nostro», diceva, parlando in pachistano, la donna rivolgendosi al figlio di 17 anni. Era il 24 agosto e il ragazzo stava traducendo in italiano le sue dichiarazioni della mamma durante una conferenza stampa tenutasi al suo rientro a in Italia.
La trascrizione della conferenza oltre alla videocassetta sono state depositate proprio ieri in Procura a Brescia dall'avvocato Loredana Gemelli che rappresenta il compagno di Hina. Quello che lei avrebbe voluto sposare, l’uomo col quale tentava di convivere a dispetto dello scandalo creato in seno alla sua famiglia fedele ad Allah. In casa l’avevano già minacciata e anche picchiata: «Non sei una buona musulmana, devi rispettare il Corano», le ripetevano ringhiando. A lei piaceva invece ballare e vestirsi come le altre, «addirittura» fumava, sognando di fare l’attrice. Insomma un’«infedele» ribelle agli occhi di quel padre che l’avrebbe alla fine massacrata.
L’avvocato di Tempini non nasconde i sospetti: «Appare a questa difesa - si legge nel documento depositato ai magistrati - che dalla traduzione della trascrizione della cassetta ci siano espressioni della signora Bushra Begum che possono destare inquietudine». Per di più dalla traduzione, eseguita da due interpreti pachistani, risulterebbe che mentre il figlio stava spiegando una fase della vicenda, la madre lo avrebbe bloccato ordinandogli di tacere. Perché questa reticenza? Chi si voleva proteggere? Un quadro decisamente in chiaroscuro. Soprattutto in netto contrasto con le lacrime che solcavano il volto di Bushra Begun al suo rientro in Italia. Era in Pakistan mentre l’11 agosto sua figlia veniva sgozzata e seppellita nel giardino della casa di Sarezzo (Brescia). «Non perdonerò mai mio marito per ciò che ha fatto, non lo voglio più vedere», urlò senza gridare davanti ai flash impietosi dei fotografi. Anche i magistrati la torchiarono, per sette ore. Fino a decidere che fosse «totalmente estranea ai fatti».


«Parole grosse, le valuteremo», commenta, perplesso e laconico, il procuratore capo di Brescia, Giancarlo Tarquini, riferendosi alla nuova «prova». Ma quest’indagine potrebbe non essere così vicina alla chiusura come si pensava. A giorni arriverà la relazione dei Ris di Parma. Magari consegnandoci qualche altra novità.

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