I bamboccioni prendano esempio da chi si sbatte

Buongiorno sig. Granzotto. Ormai la considero uno di famiglia e generalmente, la mattina, apro per prima l’ultima pagina del Giornale per leggere i suoi interventi. Visto che si è aperto un dibattito sui giovani vorrei descriverle il percorso professionale di mio figlio. Laureatosi con lode (laurea specialistica) in ingegneria informatica sette anni fa, ha iniziato subito a lavorare con un contratto a progetto e contemporaneamente ha collaborato con la sua università con incarichi temporanei e ha proseguito gli studi diventando ricercatore. Lasciata definitivamente l’università, date le oggettive difficoltà a proseguire senza appoggi la carriera universitaria, l’azienda presso cui lavorava gli ha commutato il contratto da precario a tempo indeterminato con uno stipendio superiore alla media. Due anni fa ha avuto un brutto infortunio ad un occhio che ha perso gran parte della vista; contemporaneamente la sua azienda, per la crisi in atto, ha deciso di richiedere a quasi tutti i dipendenti una riduzione del 25% dell’orario di lavoro. Anche con questa riduzione il suo stipendio rimaneva sopra la media ma ha voluto integrarlo collaborando con una scuola superiore insegnando... Nel frattempo si è sposato, ha avuto un figlio e continua a studiare e a pubblicare su riviste internazionali. Seppur soddisfatto del suo tenore di vita e della sua occupazione, ha partecipato ad alcuni concorsi presso la pubblica amministrazione vincendone uno da dirigente ma con uno stipendio di circa il 25% inferiore al suo attuale. Nonostante ciò ha accettato, valutando che avrebbe avuto comunque più opportunità di crescita professionale nella pubblica amministrazione che nel settore privato dove spesso sei relegato in un ruolo e da quello fai fatica a uscire. Insomma, a 32 anni, si è rimesso alla prova senza guardare al solo tornaconto economico ma al suo percorso professionale. Non si è pianto addosso per avere una invalidità, non è rimasto attaccato all’uovo oggi ma cerca di avere una gallina domani. E questo dovrebbe essere l’atteggiamento «normale» e l’approccio alla vita dei giovani di oggi: darsi da fare, affrontare la vita con impegno e quel coraggio che purtroppo in tanti non hanno: si piangono addosso per qualunque cosa, pretendono diritti ma scansano i doveri. Lo Stato deve dare loro tutto: la casa, il lavoro, ogni cosa, e possibilmente «aggratis».
Modena

È grazie a figli come il suo, gentile lettrice, che il Paese è andato avanti e che seguiterà ad andare avanti. Non so se siano una maggioranza: probabilmente - e purtroppo - no. Ma è comunque silenziosa. Il chiasso lo fanno i lavativi - anche del genere bamboccionico, anche appartenenti alla tribù dei centri sociali - che rivendicano il balordo diritto ad avere, ora e subito, un futuro su misura, completo di tutto e ovviamente fornito «aggratis» dallo Stato. Le cose non funzionano così e seguiteranno a non funzionare così nemmeno salendo sui tetti. Giovedì abbiamo raccontato la storia d’un altro giovane, Alessandro Fogazzi, che il futuro se lo sta realizzando con le proprie mani (e la propria testa) senza piagnucolare o «guardare il cielo in estasi», come scriveva il professor Franco Casali. Quello che hanno in comune, Fogazzi e suo figlio, gentile lettrice, è l’averci dato dentro.

Non hanno aspettato che la pera cadesse dall’albero: si sono dati da fare per coglierla (non vorrei ripetermi, ma scegliendo, come ha fatto suo figlio, la dura facoltà di ingegneria informatica, dove studiare significa studiare, si mettono saldi mattoni alla costruzione del futuro. Preferendo l’assai meno impegnativa, ma certo più trendy Scienza della Pace, faccio per dire, o altra neo Scienza o Disciplina del piffero, il futuro ci se lo costruisce in cartongesso).
Paolo Granzotto

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