I big: oggi sfondare si può ma decide solo il mercato

I più noti spiegano le strategie per far volare le quotazioni: «Ma il mondo delle gallerie ha omologato anche i giovani»

Meglio adesso o vent’anni fa? Gli artisti «arrivati» non hanno dubbi: oggi fare strada nel mondo dell’arte è più facile di una volta. «Quando ho cominciato io - dice il pittore Alessandro Papetti - le poche gallerie milanesi di qualità erano quelle storiche e si occupavano dei giovani per non più di 15 giorni all’anno. Entrare nel giro era difficilissimo. Oggi, invece, c’è un’attenzione perfino esagerata per i giovani che vengono subito omologati dal mercato. Ora, dico io: lasciamoli anche crescere».
Luca Pignatelli, figlio d’arte, considera sempre meno determinante la formazione accademica tradizionale: «Il caso Cattelan è l’esempio eclatante di come le pierre siano fondamentali per la carriera di un artista. Ma ancor di più serve viaggiare, conoscere gli altri artisti e visitare tanti musei. Senza però scivolare nel conformismo, che oggi mi sembra dilagante. Quando mio padre Ercole si incontrava al bar Jamaica con Fontana, Manzoni e Dova, forse c’era più libertà mentale». Velasco, pittore ai vertici delle quotazioni, ritiene finita l’epoca dei galleristi idealisti: «Oggi a fare la differenza è il mercato e anche l’Italia guarda ormai al sistema americano, dove le grandi gallerie sono impostate come vere e proprie case di produzione». Per Debora Hirsch, artista di San Paolo, sono ancora troppo scarse le sinergie col mondo dell’industria: «La Milano dell’arte dovrebbe far leva sulla presenza dei grandi gruppi finanziari e della moda». Paolo Rosa di «Studio Azzurro», gruppo autore di progetti multimediali per musei e istituzioni, vede invece per gli artisti una situazione più difficile rispetto al passato: «A Milano l’arte ha smarrito un rapporto fertile sia con l’industria, che una volta aveva un ruolo di grande committente, sia con le istituzioni che pensano solo a far politica. Dieci anni fa partecipammo al progetto della Fabbrica del Vapore, la futura cittadella degli artisti. A tutt’oggi è un’occasione mancata..». Per Luca Pancrazzi, quella dell’artista è oramai una professione come le altre: «L’arte si è avvicinata al pubblico di massa e le mostre si avvicinano all’estetica dello spettacolo. Chiunque voglia intraprendere una professione come quella dell’artista può tranquillamente provenire da ambiti e discipline diverse senza dover intraprendere affinamenti particolari dell’animo. Il sistema dell’arte - dice Pancrazzi - viene insegnato in appositi corsi sia in facoltà di economia sia in corsi serali postuniversitari. Si potrebbe pensare che questo crei confusione ad un meccanismo delicato che invece reagisce egregiamente creando comunque selezioni e gerarchie che oggi sono prevalentemente economiche e globali». Giovanni Frangi, pittore, reputa invece ancora fondamentali genialità e fortuna: «Le strategie contano ma la spettacolarità, il “cattelanismo” hanno creato anche molti falsi miti. Credo che ancora adesso per un artista sia fondamentale l’incontro con il gallerista giusto con cui crescere insieme: lo stesso Cattelan, senza Massimo De Carlo, forse non avrebbe avuto quel successo. E viceversa». Federico Guida, anch’egli pittore, ricorda i primi passi quando, studente a Brera, andava “a bottega” nello studio del grande Aldo Mondino: «Se hai la fortuna di incontrare un vero maestro, fare l’assistente di studio penso rappresenti ancora oggi la scuola migliore. Allora eravamo un gruppo affiatatissimo di cui facevano parte anche Davide Nido e Dani Vescovi. È stata un’esperienza fondamentale perché in quello studio ho imparato regole fondamentali: da come si concepisce un quadro a come funziona il mercato». L’esperienza del gruppo è anche quella di «Flatform» diretto da due artisti di lunga esperienza come Annamaria Martena e Roberto Luca Taroni. Nel 2005 hanno fondato un centro di produzione di videoarte: «Provenivamo tutti da percorsi individuali - dice la Martena - e ci siamo incontrati nel momento giusto, quando cioè volevamo verificare un’opinione che condividevamo: cioè che il mito dell’intuizione pura, in arte, non è più sufficiente per il lavoro. Abbiamo formato Flatform, gruppo di artisti e tecnici, proprio perché volevamo eliminare ogni aura legata alla componente individuale e lasciare vivere solo il lavoro. Oggi - dice la Martena - vedo Milano sia come il Paese del balocchi che il luogo della disillusione, perché riceve una quantità enorme di energie positive in termini di progetti che spesso non vengono ripagati».
Per Barbara Nahmad, pittrice, c’è poca relazione e solidarietà tra gli artisti stessi «che oggi inseguono le regole della moda e pensano principalmente ad apparire e incontrare la persona giusta. Se poi, come nel mio caso, sei una donna con figli, vieni spesso discriminata dai tuoi stessi galleristi».

Tra tanti big, lo sfogo di un’emergente: «Qui nessuno ti regala niente - dice la scultrice Katia Orgiana - e le famose opportunità tanto vale cercarsele da sole. Così, quando ho dovuto realizzare ventisei pezzi per un’installazione alla collettiva “Allarmi 2” di Como, mi sono fatta sponsorizzare dalla Mapei Spa. I mecenati per fortuna esistono ancora».

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