da Roma
Telefonate fantasma, proclami, persino qualche minaccia. Uno che di solito quando fa pronostici politici ci azzecca, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ieri ha focalizzato il suo sarcasmo parossistico proprio su chi si trova al centro di questo ciclone, i cosiddetti teodem: «Con le sue parole Paola Binetti, già ispiratrice e leader della piccola tendenza più vicina alla Cei nella Margherita, ha con un qualche dolore messo definitivamente in liquidazione il piccolo ma rispettabile “gruppuscolo” dei teodem».
Ed è - la constatazione amabilmente feroce di Cossiga - la spia di un conflitto di coscienza che il varo dei «Dico» ha aperto, da due giorni, non solo fra i «Teodem» ma tra tutti i centristi e i moderati dell’Unione, fino a toccare il ministro Rosy Bindi. Fino a ieri la Binetti e i suoi compagni di strada erano i guerriglieri vittoriosi che imponevano i loro diktat a tutto il centrosinistra. Da oggi mostrano grandi difficoltà, di fronte alla mediazione che li costringerà - almeno sulla carta - a votare un provvedimento che considerano indigesto. Così, in un comunicato, la pattuglia annuncia emendamenti al testo.
Di questo stato d’animo è un simbolo il disagio della capofila della corrente che ieri cercava di tenersi in un difficile equilibrio fra assenso e dissenso: «I Dico - spiegava la senatrice della Margherita - sono il miglior compromesso possibile. Non sono soddisfatta del prodotto, ma del percorso con cui si è arrivati a questo prodotto». E poi, provando ad annunciare battaglia: «Il ddl sulle coppie di fatto uscirà dalle Camere in modo molto diverso da come è stato presentato adesso. Spero possa uscire con un testo modificato ma anche con un nome nuovo, Didoco, cioè - concludeva la Binetti - diritti e doveri della coppia».
Un caso isolato? Per nulla. Infatti ieri si è creato un enigma, sulla telefonata di chiarimento sui teodem e sul loro documento, che sarebbe intercorsa tra il leader della Margherita e Dario Franceschini, capogruppo dell'Ulivo alla Camera. Franceschini è il deputato che proprio contro i teodem aveva promosso mercoledì il Documento dei 60 a difesa della «laicità delle istituzioni». La riprova dello stato di frizione è stato un comunicato dei teodem, che hanno tacciato i 60 di «tradire l'ispirazione cristiana». E uno dell’ufficio stampa rutelliano che si spingeva a smentire un cronista esperto e scrupoloso come Giovanni Innamorati dell’Ansa, che aveva dato notizia delle roventi conversazioni: «Ci troviamo di fronte ad un traffico di veleni - si leggeva in una nota davvero sopra le righe - che non finisce. Due volte falso: non c’è stata alcuna telefonata, e se ci fosse stata sarebbe stata cordialissima come le precedenti. È ridicolo poi dire che, nella non-telefonata, Rutelli avrebbe protestato per la accelerazione della approvazione del ddl Bindi-Pollastrini, visto che è stato il primo a chiedere a Prodi di approvarlo».
E lo stesso ministro, dopo aver difeso il provvedimento, sosteneva esplicitamente la possibilità di modifiche. I «Dico - spiegava ieri - sono una buona locomotiva su un buon binario e in Parlamento se qualcuno vuole aggiungere o modificare qualcosa lo faccia, basta che non si cambi locomotiva o binario». La Bindi si trovava a un convegno organizzato dalla Cei su «Lavoro e famiglia» e da questa non comoda tribuna aggiungeva: «I Dico non sono neanche una legge, sono un disegno di legge, il Parlamento vedrà». A La Repubblica la Bindi aveva rivelato il suo stato d’animo per le critiche provenienti dal Vaticano: «Soffro come credente prima che come politica».
Sulla stessa lunghezza d’onda, la senatrice della Margherita Emanuela Baio, teodem come la Binetti e Luigi Bobba: «Si potranno proporre modifiche in parlamento». Già, ma quali? Bobba chiede «uno stanziamento di 3,5 milioni di euro per la famiglia». Ma l’impressione è che i moderati centristi cerchino soprattutto un successo di immagine per frenare la rabbia delle gerarchie cattoliche, e il disagio dei loro referenti all’interno della Chiesa.
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