I cinque finalisti del Premio Strega

La «gara a tappe» del 65° Premio Strega è giunta alla prima vera «salita», la tappa della prima votazione. Ieri, a Roma, a Casa Bellonci, in via Fratelli Ruspoli 2, a partire dalle ore 19, il corpo elettorale dei quattrocento «Amici della domenica», ha scelto i cinque finalisti alla 65ª edizione del Premio tra i dodici candidati di quest’anno. Ce l’hanno fatta Edoardo Nesi (60 voti), Bruno Arpaia (49), Mario Desiati (49), Mariapia Veladiano (49) e Luciana Castellina (45). Non si era mai verificato un pari merito così e se il pari merito si fosse verificato in quinta posizione, da regolamento quest’anno ci sarebbero stati sette finalisti. Sulla linea di partenza si erano presentati in dodici: L'energia del vuoto (Guanda) di Bruno Arpaia, Malabar (Guida) di Gino Battaglia, Nina dei lupi (Marsilio) di Alessandro Bertante, La scoperta del mondo (nottetempo) di Luciana Castellina, Ternitti (Mondadori) di Mario Desiati, Settanta acrilico trenta lana (e/o) di Viola Di Grado, Nel mare ci sono i coccodrilli (Dalai) di Fabio Geda, Il confessore di Cavour (Manni) di Lorenzo Greco, Storia della mia gente (Bompiani) di Edoardo Nesi, La città di Adamo (Fazi) di Giorgio Nisini, A cosa servono gli amori infelici (Playground) di Gilberto Severini, La vita accanto (Einaudi) di Mariapia Veladiano.
Il seggio è stato presieduto da Antonio Pennacchi, vincitore del Premio nel 2010 con Canale Mussolini (Mondadori), affiancato da Tullio De Mauro, direttore della Fondazione Bellonci. Da pronostico favoritissimi, l'opinione di tutti i critici e dei ben informati era concorde nel darli per finalisti certi, sia Mario Desiati (Ternitti) che Edoardo Nesi (Storia della mia gente). Invece se la sono «giocata» Mariapia Veladiano (teologa 50enne vincitrice del premio Calvino), Luciana Castellina (aiutata secondo alcuni dal suo essere una vecchia militante di sinistra), Bruno Arpaia (che a questo giro ha fatto tutto da solo con poche spinte editoriali) e Fabio Geda. La Veladiano, vera outsider della cinquina, è stata favorita dall’aver incassato due importanti voti «collettivi»: quello della società Dante Alighieri e quello degli studenti delle scuole romane. Fabio Geda, invece, aveva contro l’handicap di aver raggiunto già un grosso successo commerciale e quindi il premio sarebbe stato, secondo molti, un di più (e che questa non sia proprio una logica letteraria pazienza). Sia come sia è arrivato sesto con 37 voti.
Non sono mancate ovviamente le solite polemiche di rito. Ancora prima che si conoscessero i nomi dei vincitori qualcuno ha fatto notare che qualche giurato poco solerte come Franco Cardini non si sarebbe fatto vedere alla votazione. Franco Cardini invece facendo notare che semplicemente ha pasticciato con le date ha sparato a zero sul «sistema» del premio: «Noi giurati siamo martellati dalla case editrici. Non telefonano le segreterie, no, alzano la cornetta i mammasantissima nel mondo editoriale.

E se chiamano 40 dei 400, chiedendo di scegliere quell’autore per amicizia con loro, o con lui, o perché sei concittadino, o sei della scuderia; Bè, se il ricatto morale o il blando tentativo di corruzione è così pressante, capita che vinca chi non lo merita».

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