nostro inviato a Mirabello (Ferrara)
Bisogna proprio sperare che oggi Gianfranco Fini parli chiaro, spieghi una volta per tutte le sue vere intenzioni, e soprattutto che si faccia capire dai suoi colonnelli. Da quanto hanno detto ieri alla Festa tricolore, tra loro la confusione regna sovrana. Alla vigilia dell’intervento del grande capo, le seconde file di Futuro e libertà hanno fatto passerella a Mirabello. Hanno bastonato tutti Silvio Berlusconi, ed era scontato; hanno murato la lapide sul Pdl, e anche qui nessuna novità. Ma faranno il partito o no? Su quale programma? Alleato a destra, al centro o a sinistra? Da Bocchino a Urso, i luogotenenti di Fini hanno messo i guantoni come i pugili che si sono esibiti giovedì sera: hanno preparato la platea per lo spettacolo di oggi, ma se le sono suonate anche tra di loro.
Esempio: che ne pensano del fatto che il processo breve non sarà più nell’agenda della verifica? Per Fabio Granata è «una notizia positiva per la giustizia italiana, i toni sono stati riportati in un perimetro accettabile». Anche Italo Bocchino vede «segnali positivi che ci spingono a ritenere improbabile una crisi della maggioranza». Invece Carmelo Briguglio dice che Berlusconi ha lanciato «esche avvelenate» riducendo i cinque punti al «Bignami del programma elettorale di due anni fa». Altra questione aperta: il partito. Chiara Moroni lo ritiene «utile per inaugurare la Terza repubblica, quella delle idee». Per Briguglio «di fatto il partito esiste già: ci sono il popolo, la fondazione, le organizzazioni territoriali come Generazione Italia, i leader». La parola partito è invece tabù per Roberto Menia e Mario Baldassarri, che non vogliono fare mancare il sostegno al governo fino alla fine della legislatura. Menia lo chiama «comandamento laico di fedeltà al voto degli elettori». Per non sbagliare, Bocchino non esclude nessuna possibilità: «Aspettiamo 24 ore e sapremo tutto».
Nel frattempo il problema è martellare Berlusconi e il Giornale. Briguglio rispolvera da destra il conflitto d’interessi auspicando una modifica della legge Gasparri. Perina spara sul partito «machista, maschilista, cesarista» e su «una campagna stampa che ha un solo precedente: la cacciata del Manifesto dal Pci». Granata se la prende con la «presupponenza intollerabile del ministro Gelmini davanti alla tragedia di migliaia di precari». E c’è anche chi, come il deputato bolognese Enzo Raisi, punta a spaccare il Pdl: «Che cos’è oggi il Pdl, l’assessore di Napoli che organizza i pullman per contestare il presidente della Camera, o Letta e Frattini che vogliono tenere la porta aperta? Ho l’impressione che Berlusconi ascolti più La Russa e la Santanché».
La Russa e gli altri ex An rimasti nel Pdl sono trattati forse peggio del Cavaliere. Per il viceministro Adolfo Urso, il ministro della Difesa avrebbe dovuto occuparsi delle truppe tricolori invece che fare la guerra a Fini. Per Bocchino «il Pdl è un progetto incompleto perché non è stato riconosciuto il ruolo di Fini, il partito non è pluralista, e soprattutto qualcuno dopo aver cogestito con Fini ha trovato più conveniente la cogestione con Berlusconi». Insomma, i bersagli dei finiani sono chiari. Lo è meno la loro prospettiva.
Dal politichese di Bocchino si evince che «Futuro e libertà sarà politicamente e culturalmente nel centrodestra e sosterrà il governo, ma la permanenza nel Pdl dipende dalle decisioni di Berlusconi che unilateralmente e illiberalmente ha definito Fini incompatibile. Se lui è incompatibile, siamo tutti incompatibili». Dentro o fuori? E se nemmeno Fini risponderà?
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