Ma chi l’ha detto che il Pci è morto? A Torino gode di ottima salute, non fosse altro che due papaveri rossi come Piero Fassino e Giorgio Ardito, che nella Sala rossa del Consiglio comunale del capoluogo piemontese sono di casa sin dagli anni Settanta, sono i protagonisti assoluti delle Primarie di coalizione per il candidato sindaco del centrosinistra più «sovietiche» d’Italia.
L’ex segretario Ds, classe 1949, non aveva nemmeno vent’anni quando nel 1968 si iscrisse alla Federazione giovanile comunista torinese, che scalò di lì a poco fino a presiederla nel 1971. Trentacinque anni fa, anno più chilo meno, Fassino venne eletto consigliere comunale del capoluogo piemontese: seggio che manterrà per dieci anni, prima di approdare (dal 1985 al 1990) al Consiglio provinciale, negli anni in cui ricopre la carica di segretario della federazione torinese (più precisamente dal 1983 al 1987).
Con chi fa la storica staffetta ai vertici del Pci torinese? Con Giorgio Ardito, classe 1942, segretario del partito comunista cittadino dall’87 al ’91 dopo aver fatto l’assessore all’istruzione e il vicepresidente della Provincia. Nel febbraio del 1991 Ardito è protagonista di un clamoroso strappo: le sue dimissioni dal Pds in polemica con Massimo D’Alema (strano...) che lo aveva escluso dal gruppo dirigente nazionale. Nel politburo del neonato partito dei Democratici di sinistra c’era invece proprio Piero Fassino, che fino a quel fatidico anno della Bolognina era responsabile dell’organizzazione.
Tra i due non corre buon sangue, visto che da 35 anni si fanno la guerra. E non è un caso che il primo commento negativo alla «discesa in campo» di Fassino sia stato proprio quello di Ardito: «Anche con lui in campo - dice - sono io il più adatto a fare il sindaco».
Le schermaglie più furibonde risalgono però alla stagione buia di Tangentopoli, quando il sospetto della corruzione si allungò sull’establishment piemontese, non senza pesanti ripercussioni. Ricordano le cronache di allora che la pista delle «tangenti rosse» attraversò come una lama il Pci torinese nell’inchiesta condotta dal sostituto procuratore milanese Tiziana Parenti e dal collega torinese Giuseppe Ferrando. Il sospetto era pesante: una mazzetta da 250 milioni di lire per uno degli appalti del depuratore Po-Sangone che la Cogefar-Impresit (società nell’orbita Fiat) avrebbe versato, tra l’89 e il ’90, all’ex funzionario comunista Antonio De Francisco, l’amministratore del patrimonio immobiliare del Pci tramite la società Alba (nata sotto il gabinetto Fassino), morto sei mesi prima di essere indagato.
Quei soldi erano passati da due conti a Lugano, «Idea-Alessandria» e «Sorgente», aperti rispettivamente dall’allora capogruppo Pci in Consiglio comunale e sindaco di Settimo Torinese Giancarlo Quagliotti e dal famoso compagno G. Primo Greganti, ex amministratore della federazione torinese del Pci, il più famoso comunista finito in galera per tangenti.
Quando Fassino e Ardito, freschi protagonisti della staffetta ai vertici del Pci torinese, furono ascoltati dai magistrati risposero all’unisono: «Siamo all’oscuro di tutto». I soldi sparirono nel nulla. «Quella somma non è mai arrivata alla federazione torinese del Pci e, per quanto ne so, escluderei anche che abbia preso la strada per Roma», disse Ardito uscendo dall’ufficio del pm Ferrando. Fassino venne ascoltato, e ripetè lo stesso copione. Tutto avvenne a loro insaputa, e i magistrati diedero credito alla loro posizione sebbene per Quagliotti e Greganti quei 250 milioni versati nel 1989 «erano un contributo al Pci». Finì a tarallucci e vino, come sempre.
Con D’Alema a ripetere che «nella peggiore delle ipotesi si tratta di poca cosa». Amen. Chi prese il posto che fu di Fassino e Ardito nel 1991? Sergio Chiamparino, a cui oggi i due contendono la poltrona di sindaco. Un bel triangolo rosso sovietico...felice.manti@ilgiornale.it
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