I Ds: gli indicatori vanno determinati meglio. Studi di settore, neanche l’Unione difende Visco

Il Senato approva una mozione che impegna il governo a rivedere i parametri insieme alle associazioni di categoria. Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre: «In un Paese serio un ministro sconfessato dalla sua maggioranza se ne va a casa»

Roma - Il Senato impegna il governo a «interpretare come sperimentale» l’introduzione degli indicatori di normalità negli studi di settore, decisa con la Finanziaria 2007. Ma nulla cambia per ora, nei fatti, per quanto riguarda i contribuenti. La maggioranza non ha infatti accettato la mozione del centrodestra che era intesa a sospendere l’effetto retroattivo degli indicatori sui redditi 2006. La mozione della Cdl, votata per parti separate, ha raggiunto la parità (143 sì e 143 no) nella terza votazione, decisa dai dieci astenuti. C’è stato però un voto favorevole bipartisan a un ordine del giorno Calderoli, che impegna il governo ad attuare una politica di riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese, e un calo delle tasse sulla prima casa.

Ha dunque prevalso, nel voto al Senato, quello che si potrebbe definire il «criterio di cassa». Gran parte degli esponenti di maggioranza intervenuti, e lo stesso sottosegretario all’Economia Mario Lettieri a nome del governo, hanno infatti ammesso che sono stati commessi errori nella definizione degli indicatori, e che si è sbagliato a non concordarli con artigiani e commercianti, come previsto nel protocollo firmato dalle associazioni con il governo. Ma dagli studi di settore «aggiornati» la Finanziaria attende un gettito aggiuntivo di 2 miliardi e 700 milioni di euro nel 2007, superiore allo stesso tesoretto (almeno prima che, allargando il deficit, arrivasse fino ai 6 miliardi). Impossibile rinunciarvi.

La mozione del centrosinistra impegna il governo a riprendere immediatamente il dialogo con le associazioni del commercio, dell’artigianato, della piccola impresa per l’aggiornamento degli studi di settore. «L’introduzione degli indicatori di normalità economica - si legge nel testo - deve avvenire con l’ausilio irrinunciabile delle categorie interessate, restituendoli alla funzione originaria di segnali di anomalia, meritevoli di approfondimento. Lettieri parla addirittura di un tavolo di confronto «da convocare entro 48 ore». Già oggi, molto probabilmente, la Confcommercio avrà un incontro con il viceministro Visco.

Secondo l’associazione artigiani Cgia di Mestre, il testo approvato rappresenta «un onorevole compromesso che di fatto sfiducia l’azione sin qui svolta dal viceministro Visco.

Si ripropone infatti con forza il ruolo delle associazioni di categoria come interlocutori dell’amministrazione finanziaria. In un Paese serio - osserva il presidente, Giuseppe Bortolussi - Visco, sconfessato politicamente dalla sua maggioranza, dovrebbe andarsene a casa».

Vincenzo Visco è stato il vero «convitato di pietra» del dibattito a palazzo Madama: fortemente criticato dalla Cdl, non è stato difeso con convinzione neppure dalla maggioranza. Il presidente ds della commissione Finanze, Giorgio Benvenuto, ha parlato di «indicatori non approfonditi: estendendoli a tutti, abbiamo trasformato contribuenti congrui in incongrui, saliti questi ultimi dal 29% a oltre il 50%». Lo stesso sottosegretario Lettieri ha detto che gli indicatori «non sono il Vangelo, anche se sono utili». Molto critico Mario Baldassarri: «Il Senato - spiega il senatore di An - ha perso un’occasione non votando la mozione della Cdl per abolire la retroattività degli studi». Le maggiori tasse per il momento restano.
Del resto, il peso fiscale eccessivo nei confronti delle imprese italiane è dimostrato dalle cifre rese note ieri dagli uffici statistici dell’Ue. Quest’anno l’aliquota sul reddito d’impresa nel nostro Paese è del 37,3%, la più alta d’Europa dopo quella della Germania (38,7%). La media dei Paesi dell’eurozona, rileva Eurostat, è del 28,5 per cento.
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