Parigi - «Quando ci dicono che siamo dei provocatori quale suscettibilità vogliono difendere? Evidentemente quella di estremisti, secondo cui la religione dovrebbe sostituirsi alla legge. Ma chi deve definire il concetto di libertà d’espressione e l’ambito entro cui questo può manifestarsi: i deputati, eletti dal popolo, o i gruppi religiosi?», dice Philippe Val, direttore del settimanale satirico Charlie Hebdo esprimendo il suo profondo dissenso dall’accusa per cui deve da ieri rispondere in tribunale a Parigi: quella di aver offeso la comunità islamica francese pubblicando le famose vignette su Maometto.
La vicenda risale a un anno fa, quando il mondo fu scosso dalla violenta protesta degli estremisti islamici contro i disegni satirici pubblicati nel settembre 2005 da un giornale danese. Per mesi nessuno si accorse di quelle vignette su Maometto, ma poi l’opinione pubblica di alcuni Paesi islamici cominciò a mobilitarsi in una protesta contro i disegni considerati «sacrileghi». Nella sua edizione dell’8 febbraio 2006, il settimanale parigino Charlie Hebdo propose ai suoi lettori tutte le tredici vignette satiriche, comprese quelle in cui il profeta viene raffigurato con tanto di barba e turbante, cosa considerata offensiva dagli islamici secondo cui è assolutamente vietata la raffigurazione del volto di Maometto. In seguito alla pubblicazione di quei disegni, il rettore della moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, considerato un pragmatico e un moderato, ha presentato al tribunale di Parigi una denuncia contro il settimanale satirico per «aggressione deliberata contro un gruppo di persone a causa della religione da loro professata».
Il processo è cominciato ieri e ha sconvolto l’opinione pubblica, nettamente contraria all’iniziativa di alcuni rappresentanti ufficiali della collettività islamica francese. L’iniziativa di Boubakeur, essendo sponsorizzata dalle componenti più estremistiche dell’islam transalpino, appare una sfida alla libertà di stampa. Ecco il quotidiano parigino Libération aprire le pagine ai redattori di Charlie Hebdo, che hanno riproposto ieri - grazie a questa ospitalità - le vignette contestate. Sia il direttore di Libération sia quello di Charlie Hebdo hanno spiegato di non avere la minima intenzione di offendere una religione, ma di non poter transigere in alcun modo sul concetto fondamentale di libertà di stampa. Se una democrazia cedesse ai ricatti e alle pressioni indebite - è il pensiero dei direttori dei due giornali - alla fine le istituzioni rischierebbero grosso di fronte alla spinta di estremisti e fanatici.
L’analogo processo svoltosi in Danimarca a carico del giornale che per primo ha pubblicato i celebri disegni, si è concluso con l’assoluzione. In Francia, però, la situazione è molto più tesa perché la comunità islamica conta ben sei milioni di membri, spesso condizionati dall’attivismo degli integralisti. Ieri i principali leader politici nazionali hanno espresso solidarietà al settimanale satirico e hanno riaffermato l’importanza del principio della libertà d’espressione. Tuttavia alcuni membri dell’organizzazione rappresentativa degli islamici transalpini hanno minacciato fuoco e fiamme nel caso (che sembra fortunatamente probabile) di un’assoluzione di Philippe Val e degli altri redattori di Charlie Hebdo. C’è persino chi vorrebbe presentare denuncia contro Laurent Joffrin, direttore di Libération. Una ragione di più per spingere i leader francesi a riaffermare i loro principi. «Non è possibile cedere a certe pressioni contro la libertà di stampa», ha dichiarato il candidato presidenziale François Bayrou, liberale.
Ferma la presa di posizione del leader di centrodestra Nicolas Sarkozy, che sottolinea il pericolo legato alla diffusione dell’integralismo e dell’intolleranza.
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