I francesi sbattono la porta in faccia all’Europa

Alberto Toscano

da Parigi

La Francia ha detto no all'Europa. Lo ha fatto al termine di una campagna elettorale a due volti: per certi aspetti appassionante a causa del reale dibattito tra la popolazione e per altri intrisa di demagogia, di insulti e di menzogne. Certo i fautori del no - schieramento eterogeneo, con i suoi punti di forza all'estrema destra e all'estrema sinistra - dicono che questo verdetto ha riguardato unicamente l'oggetto del contendere, ossia il Trattato costituzionale europeo, firmato a Roma il 29 ottobre scorso. Tuttavia il tipo di dibattito che si è svolto in Francia negli ultimi mesi non lascia dubbi sul senso profondo di quel no: si tratta di un vero e proprio rifiuto dell'Europa quale è stata concretamente realizzata in mezzo secolo di storia, cominciando dalla Conferenza di Messina e passando poi per il Trattato di Roma e per quello di Maastricht. I francesi sono stanchi di quell'Europa e lo hanno fatto sapere col voto di ieri, il primo che ha bocciato la Carta, che a scrutinio quasi completato (97,80%) dà il successo al no col 55,06% dei votanti (15.095.368 voti) contro il 44,945% (12.320.786).
L'affluenza alle urne è stata massiccia, soprattutto rispetto agli standard transalpini: oltre il 70 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne, superando sensibilmente il già elevato livello del referendum del settembre 1992 per la ratifica di Maastricht. E adesso? Le prime dichiarazioni dei fautori del no sono improntate sia al trionfalismo sia al desiderio di rinegoziare il Trattato costituzionale. È una richiesta praticamente irrealizzabile, almeno nel breve-medio periodo. Irrealizzabile prima di tutto perché dal no francese all'Europa non scaturisce un messaggio omogeneo, tale da costituire una base per eventuali nuovi negoziati in ambito comunitario.
Prendiamo ad esempio il caso dell'immigrazione: per l'estrema destra del Front national di Jean-Marie Le Pen, che ha avuto un ruolo fondamentale nel successo del no, il Trattato costituzionale va rinegoziato in modo da cacciar via quanti più stranieri possibile dall'Europa e in particolare dalla Francia. Per i comunisti e per i vari partiti trotzkisti, che hanno avuto anch'essi un ruolo fondamentale nel risultato di ieri, occorre invece legalizzare tutta quanta l'immigrazione clandestina. Altro esempio: il cattolico tradizionalista Philippe De Villiers, pilastro del no, accetterebbe volentieri un cenno alle «origini cristiane» dell'Europa, mentre il laicissimo socialista Laurent Fabius, che nel nome del no ha sfidato il suo stesso partito, amerebbe semmai cambiare in senso opposto il preambolo costituzionale, cancellando persino il cenno alle «origini spirituali» del nostro continente. E gli esempi potrebbero continuare a lungo.
Il no ha vinto in Francia per quello che è: nient'altro che un no, su cui è impossibile costruire una nuova strategia dell'integrazione europea. Bisognerà far passare del tempo e risolvere nel modo meno indecoroso possibile la procedura comunitaria delle ratifiche, che probabilmente non giungerà mai al suo termine perché Tony Blair non ha intenzione di rischiare la propria credibilità convocando un referendum britannico ormai sostanzialmente inutile. Certo tra qualche giorno un Consiglio europeo sentenzierà la prosecuzione della procedura delle ratifiche. Ma in concreto il destino del Trattato costituzionale pare segnato, anche perché in queste condizioni è difficile che il referendum olandese del 1° giugno dia un esito diverso da quello francese. Nei prossimi anni - probabilmente almeno dieci - l'Europa sarà retta dal Trattato di Nizza, ritenuto un cattivo compromesso comunitario che vede la Francia e l'Italia contare molto meno di quanto avrebbero pesati col Trattato respinto ieri.
L'altra ragione per cui difficilmente potrà esserci un altro negoziato nel breve-medio periodo sta nel fatto che il resto dell'Europa non sembra pronto a chiudere gli occhi sul comportamento francese. Lo scenario ricorda quello dei primi anni Cinquanta e della Comunità europea di difesa (Ced), voluta dalla Francia e poi affossata nel 1954 da un voto del Parlamento di Parigi. Il risultato è che per oltre mezzo secolo l'integrazione europea nel settore della difesa è stata particolarmente difficile. Anche il Trattato costituzionale è stato voluto dalla Francia, che ha preteso per un suo illustre esponente - l'ex presidente Valéry Giscard d'Estaing - la presidenza della Convenzione e che poi lo ha silurato col voto di ieri.
Intanto il risultato del referendum sta per accelerare nella politica francese cambiamenti che già erano nell'aria. Il primo ministro Jean-Pierre Raffarin sta per dimettersi e al suo posto potrebbe essere nominata l'attuale ministra della Difesa Michèle Alliot-Marie.

Il presidente Jacques Chirac, che ha deciso la ratifica per via referendaria (invece che parlamentare) del Trattato costituzionale e che ha lanciato ai connazionali vari appelli a votare sì, è stato palesemente sconfessato e si avvia mestamente sul viale del tramonto. Una passeggiata che durerà due anni: fino alle presidenziali della primavera 2007.

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